È cresciuto ascoltando in barca le storie di Eduardo De Filippo, guardando la tv con Monica Vitti e chiacchierando sulla terrazza con Gregory Peck. Vito Cinque ha visto passare il mondo dal San Pietro di Positano. E oggi il proprietario – insieme al fratello Carlo – di questo hotel leggendario della Costiera continua ad accogliere tanti ospiti (più o meno celebri) e a valorizzare l’arte dell’ospitalità, gestendo un team di 196 persone. Il mantra? «Mai prendersi troppo sul serio e mettersi sempre in discussione». È così che questa formidabile impresa di famiglia – che nel 1996 fu premiata come “Best Small Hotel” proprio da Travel + Leisure – si appresta a festeggiare i suoi 55 anni di storia (il prossimo 29 giugno). Nel frattempo, Cinque è impegnato anche come vice presidente Europa di Relais & Châteaux, l’associazione che riunisce oltre 550 hotel di charme e ristoranti internazionali.
Il San Pietro continua a essere uno degli hotel più desiderati al mondo, qual è il segreto?
Non si tratta solo della bellezza del luogo ma delle persone che lavorano qui. Sono gli scambi di cortesie, di gesti e di pensieri. È la stratificazione di tante emozioni. Più dell’80% dei nostri collaboratori sta con noi da più di dieci anni, alcuni addirittura da quaranta. Sono loro i proprietari del San Pietro. C’è Pasquale, ad esempio, che lavora in piscina. Molti ospiti preferiscono stare lì piuttosto che al mare solo per parlare con lui e ascoltare i suoi racconti. Io mi sorprendo sempre dell’affetto che i nostri clienti ci manifestano. In un mondo che va così veloce e con l’enorme offerta che c’è oggi, le persone continuano a sceglierci anno dopo anno. E lo fanno perché sanno di poter ritrovare il nostro team e perché hanno la possibilità di incontrare amici di vecchia data o di farne di nuovi. Non si sentono mai soli. Il San Pietro è una vera e propria comunità ed è il posto del cuore di tante persone.

In Costiera ci sono ancora tanti hotel a gestione familiare. Fa la differenza?
Fa un’enorme differenza. Ciascuno ci mette la faccia e la sua reputazione. Dietro a ogni hotel c’è una storia da raccontare. Non è scontato che tanti alberghi importanti gestiti da famiglie riescano a mantenersi competitivi in un mercato così sfidante che prende in considerazione solo i numeri. Si è creato un circolo positivo di emulazione, tutti cercano di alzare l’asticella e fare meglio degli altri, e non in termini di fatturato ma di accoglienza. Certo, come diceva il mio professore, è complicato ragionare di filosofia a pancia vuota. Il fatturato serve per poter fare le cose bene.
Come sta cambiando il turismo di lusso?
Si sta abbassando l’età: ci sono sempre più giovani e sono sempre più sensibili alle tematiche di sostenibilità e responsabilità sociale. Non vogliono finzioni, sono orientati a esperienze autentiche e di qualità. Ecco perché noi vogliamo essere certi di trasmettere un messaggio sincero. Ci stiamo mettendo in gioco su tutto, vogliamo mostrare chi siamo e far vedere il back of house. Oggi serve più coinvolgimento degli ospiti: li portiamo a vedere come prepariamo i cornetti, a parlare con i giardinieri e a visitare l’orto, facciamo lezioni di italiano. Abbiamo creato una boutique senza brand famosi ma solo con capi e accessori esclusivi, artigianali, come ad esempio la linea completa tennis. I clienti si possono portare a casa un pezzo di noi.

Tra i tanti personaggi che hanno soggiornato al San Pietro, quali sono quelli che ricorda con più piacere?
Per umanità e simpatia direi Tina Turner, che venne quando avevo 18 anni, e Dustin Hoffmann, di una semplicità incredibile. Ricordo anche Monica Vitti, molto golosa: guardavamo insieme la tv e mangiavamo la torta di mandorle con il gelato. E poi Eduardo De Filippo, che da piccolo accompagnavo in barca e mi raccontava tante storie.
Un ricordo di suo zio Carlino, il fondatore dell’hotel?
A volte veniva a prendermi in camera a notte inoltrata, io in pigiama e a piedi scalzi, e mi presentava agli ospiti con cui si intratteneva sulla terrazza dell’hotel. Tra questi, una sera, c’era anche Gregory Peck.
Una parte importante del San Pietro è la cucina, con due ristoranti: lo Zass, con una stella Michelin, e il più informale Carlino.
Dall’anno prossimo cercheremo di capire meglio quale direzione prendere e che futuro avrà il modello di ristorazione stellata. Il nostro obiettivo non è stupire ma dare piacevolezza, occuparci della salute dei nostri clienti, avere sempre onestà intellettuale in quello che facciamo. Vogliamo essere coerenti e non perdere la nostra identità, sostenere gli artigiani e le tradizioni locali, preservare quella conoscenza e attualizzarla.

Lei è anche vice presidente Europa di Relais & Châteaux. Quali sono gli obiettivi dell’associazione?
Insieme a tutto il board mi occupo soprattutto di avere un piano strategico per il futuro e di controllare la qualità di tutte le strutture che fanno parte dell’associazione: aiutiamo quelle che peccano a migliorare e cerchiamo di farne entrare di nuove. Abbiamo rinnovato il nostro manifesto sulla sostenibilità, attraverso strumenti che ci permettono di valutare il nostro impatto ambientale e di trovare soluzioni efficaci. Vogliamo diventare totalmente plastic free e ridurre del 40% la nostra produzione di CO2 entro i prossimi 5 anni. Si sta creando un grande movimento culturale e noi vogliamo far capire che le scelte sostenibili non sono necessariamente onerose ma sono delle opportunità.
A proposito di sostenibilità, quale deve essere il futuro della Costiera?
La Costiera deve rimanere verace e dare la possibilità di viverci a chi c’è nato, non solo ai turisti. La mancanza di efficaci politiche sociali e turistiche sta facendo sì che questi posti siano fruibili solo a chi ha la possibilità di farlo e non è giusto. È un territorio bello, unico e delicato e deve essere amato e rispettato. Non ci serve un turismo mordi e fuggi che prende senza dare nulla in cambio. Bisogna regolamentare gli arrivi, mettere dei vincoli e far rispettare le leggi. Essere sostenibili vuol dire anche saper fare un passo indietro.