Dozza, il borgo dell’arte diffusa (e del vino)

Dozza, il borgo dell’arte diffusa (e del vino)

Tra antiche leggende e moderne invenzioni, opere en plein air e musei, la cittadina romagnola ospita anche la vetrina dell’enologia regionale.
Veduta aerea del colorato borgo di Dozza
Veduta aerea del colorato borgo di Dozza. Foto di Filippo Zaccarini

Il drago Fyrstan riposa nel mastio della Rocca, con i denti aguzzi bene in vista, gli occhi chiusi pronti a diventare braci, le ali serrate a custodire il suo uovo: si risveglia ogni due anni – la prossima sarà nel 2026 – in occasione della Biennale d’illustrazione FantastikA, rassegna dedicata all’illustrazione fantasy “young adult” che è riuscita ad attrarre nel borgo medievale di Dozza, in cima a una collina a poca distanza da Imola, un pubblico sempre più giovane e appassionato di questo genere di disciplina artistica. Pensato come contemporaneo guardiano della fantasia e della creatività, nasce però da una leggenda locale dalle radici antiche, secondo la quale attorno all’anno Mille i boschi vicini erano abitati da un rettile mostruoso che avvelenava i fiumi e faceva strazio di bestiame: nemmeno il prode cavaliere Cassiano Oroboni riuscì a sconfiggerlo, ma a quanto pare a salvare gli abitanti ci pensò San Basilio.

Il drago Fyrstan, in una sala della torre maggiore della Rocca di Dozza, al momento del suo risveglio. Foto di Alessio Vissani

Realizzato da Ivan Cavini, che è anche ideatore della manifestazione, il drago riassume così uno dei tratti più singolari della cittadina dominata dalla sagoma imponente della rocca voluta nel Quattrocento da Caterina Sforza, divenuta poi edificio militare e dimora signorile — fino al 1960 fu abitata dalla famiglia Malvezzi -Campeggi — e oggi trasformata in museo.

Arrivando qui quando le luci del tramonto sono ormai spente, o risvegliandosi in un mattino in cui la nebbia sfuma i confini di ogni cosa, si potrebbe avere l’impressione di essere tornati indietro di qualche secolo. Ma Dozza non è per nulla uno di quei luoghi fermi nel tempo, dove la storia e il passato diventano risorse da offrire ai visitatori del weekend. E se il vino e la gastronomia sono ancora centrali nella vita del borgo, qui è stata soprattutto l’arte ad accompagnarne il percorso verso la contemporaneità. «In passato, Dozza era principalmente il luogo dove i bolognesi venivano a mangiare, ma c’erano poche altre attrattive. Negli anni 60, quando la Rocca è diventata uno spazio pubblico ed è nata la rassegna Muro Dipinto, le cose hanno iniziato a cambiare», racconta il sindaco Luca Albertazzi, al secondo mandato.

La possente struttura della Rocca Sforzesca che domina il borgo. Foto di Francesco Rito/Shutterstock.

Pittura sui muri: la Biennale del Muro Dipinto

Così, tra le facciate delle case e i portici che conducono verso la rocca, colori sgargianti e immagini che spaziano dal realistico al poetico, dall’astratto al politico, offrono stimoli, incuriosiscono, raccontano storie al visitatore. Sono appunto i dipinti murali — dai grandi affreschi che ricoprono interamente facciate e archi alle piccole figure da cercare con attenzione — realizzati da importanti nomi dell’arte contemporanea e da giovani artisti internazionali per la Biennale Muro Dipinto. Nata da un’idea di Tomaso Seragnoli, nei decenni ha trasformato il paese arroccato in un vero e proprio museo d’arte a cielo aperto, accessibile a tutti, e senza premi e competizioni, permettendo all’arte e agli artisti di inserirsi liberamente nel contesto urbano e nel tessuto cittadino.

Giunta alla sua trentesima edizione – in programma a settembre 2025 – e dal 2004 gestita dalla Fondazione Dozza Città d’Arte, dal 2006 fa conto anche sul Centro Studi e Documentazione del Muro Dipinto, che si occupa della raccolta, catalogazione, conservazione ed esposizione (all’interno della Rocca, visitabile su prenotazione) di tutto il materiale artistico e documentario prodotto nelle varie edizioni; mentre dal 2007 spazi, temi e stili si sono ampliati al vicino borgo nuovo di Toscanella, che ospita opere di writing e street art: altro esempio di come Dozza abbia saputo continuare a guardare alla modernità.

Dal Sentiero del Vino alla Passeggiata degli Artisti

«Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto l’ambizione di provare a esplorare nuovi settori, aprendo gli spazi pubblici a chiunque tra musicisti, scrittori, artisti o altro di mettere in scena qui il proprio saper fare e sollecitando la nascita di contaminazioni, eventi e iniziative», spiega Albertazzi. Così, ad esempio, è nata FantastikA, che ha spinto l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani a fissare qui la propria sede.

E se a definire Dozza a tutti gli effetti una Smart City ci sono i progetti portati avanti con Enea per monitorare (tramite una rete di sensori ai varchi cittadini) e, in prospettiva, gestire i flussi turistici — che tra il 2023 e il 2024 hanno visto quasi 300mila ingressi pedonali all’anno — sono nati anche percorsi di trekking ed escursionismo come il Sentiero del Vino, che si snoda per circa 6 chilometri toccando quattro aziende locali, la Via dei Gessi e dei Calanchi che lambisce anche gli antichi acquedotti (“docce”) cui si deve il nome di Dozza e la breve ma interessante Passeggiata degli Artisti che perlustra il perimetro esterno del borgo permettendo di godere tanto del paesaggio della valle del Santerno quanto delle opere custodite entro le mura medievali della città.

Da sinistra: Paesaggio con nuvole e arcobaleno dipinto da Alfonso Frasnedi sulla facciata di un antico arco con orologio in piazza Zotti. Foto di Miti74/Shutterstock. L’Angelo, suggestiva opera murale realizzata per Muro Dipinto 1993 dall’artista Giuliana Bonazza, scomparsa nel 2014. Foto di Luciana Squadrilli.

L’arte nel bicchiere

Nei decenni La Biennale Muro Dipinto ha visto infatti nascere oltre duecento opere che rappresentano una straordinaria antologia artistica: dal variopinto Il Respiro del Drago di Paolo Barbieri, del 2015, in via De Amicis alle immagini di rievocazioni storiche (Assedio alla Rocca, Luigi Sassu, 1969), denuncia politica (Tortura, Franco Messina, 1977), astrattismo (Mona Lisa, Vanni Spazzoli, 2023) fino alla delicata poesia dai toni rosati de L’Angelo, figura alata che avvolge un portone di via XX Settembre dove, nel 1993, l’ha realizzata Giuliana Bonazza. Ma forse il tema più ricorrente è quello del vino. E non potrebbe essere altrimenti in un luogo come questo, trattino di congiunzione tra Emilia e Romagna, circondato da campi, oliveti, vigneti e cantine perlustrabili seguendo il Sentiero del Vino, o allungandosi verso Brisighella alla scoperta di belle realtà come Vigne di San Lorenzo di Filippo Manetti a Campiume o Mutiliana di Giorgio Melandri a Modigliana.

Così, tra piazze e viuzze di Dozza si avvistano opere come I vigneti del socialismo romantico (Aldo Borgonzoni, 1985), che decorano la loggia del Comune accanto agli enigmatici segni di “scrittura grafico-pittorica” di Riccardo Licata in Civiltà vitivinicola. O Tempo di vendemmia, realizzato da Nello Leonardi nel 1985 decorando con tralci e grappoli nei toni del verde due archi lungo via XX Settembre. E la Rocca Sforzesca — oltre al Centro Studi e Documentazione e all’interessante casa-museo che permette di visitare le stanze arredate della famiglia Malvezzi-Campeggi, fino a raggiungere il mastio della torre maggiore per far visita a Fyrstan e dominare con la vista il borgo e i suoi dintorni — ospita anche, nelle antiche cantine, l’Enoteca Regionale Emilia Romagna.

La Tagliatella al ragù dell’arzadora dell’Osteria di Dozza. Foto di Osteria di Dozza.

La tradizione romagnola dell’osteria

Qui gli appassionati di vino (e di prodotti locali, dai salumi ai formaggi fino agli aceti) possono assaggiare l’intero repertorio enologico della regione, suddiviso per aree e tipologie e raccontato con cura, mentre la domenica c’è anche il wine bar per assaggi e degustazioni. Ma a garantire ristoro e piacere in occasione di una visita a Dozza non mancano validi indirizzi, tra ristoranti e trattorie. Tra questi, l’Osteria di Dozza che, sotto ai portici di via XX Settembre, è altrettanto capace di affiancare riti, atmosfere e socialità del passato a un presente gastronomicamente accattivante. Ricavata in una vecchia trattoria di cui si rispettano senza ingenuità ambiente e cucina, incarna la grande tradizione romagnola dell’osteria.

La camera Federico, uno degli alloggi della Locanda Dolce Vita.

Arredi rustici, fotografie che omaggiano il rapporto tra cibo e cinema, libri, musica e prodotti del territorio — spesso al centro di presentazioni, concerti, degustazioni — fanno da cornice a una cucina schietta ma curata, basata su ingredienti di stagione di aziende e piccoli produttori locali, mandando in tavola ricette che non hanno bisogno di rivisitazioni ma solo di mani attente. Sui graziosi menu illustrati da Agnese Baruzzi si trovano quindi le crescentine fritte e le piadine locali — spesse e di piccolo diametro — da affiancare con grandi salumi, paste all’uovo tirate al mattarello come i cappelletti burro e salvia o le tagliatelle con prosciutto di Parma Dop 24 mesi mantecate con burro e Parmigiano Reggiano, gli arrosti di cortile o le carni alla griglia, gli scroccadenti (sorta di tozzetti rustici) da accompagnare con un bicchiere di Albana.

Proprio di fronte c’è il grazioso Caffè dell’Osteria: punto di ritrovo per la lettura mattutina del giornale e la colazione con un buon caffè e i lievitati artigianali in arrivo dal forno Madré di Castel San Pietro Terme, è ideale anche per acquistare un souvenir enogastronomico. Mentre sono sparse tra i vicoli del borgo le camere del B&B diffuso Locanda DolceVita, dedicate al cinema felliniano.

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