In base alla mia esperienza, il pericolo principale di nuotare con le balene in mare aperto non è quello di essere schiacciati o azzannati da un mammifero marino di molte tonnellate o di scomparire in qualche modo negli abissi, ma piuttosto di contrarre una grave forma di “febbre da nuoto con le balene”. Si tratta di una condizione per la quale non esiste una cura conosciuta: chi ne è affetto vive in uno stato di perpetua nostalgia, sognando sempre di tornare in acqua con loro. Lo so bene. Ne soffro anch’io. Per i malati cronici, una delle destinazioni più affascinanti del mondo è Dominica, nazione insulare montuosa appartenente alle Piccole Antille, l’arcipelago più sud-orientale dei Caraibi.
Nelle acque calde e protette dell’isola risiede tutto l’anno una popolazione di circa 200 capodogli. Storicamente, un rigoroso sistema di permessi ha ridotto al minimo il nuoto con i cetacei come attività ricreativa – il che è un bene sia per loro sia per i visitatori, poiché un numero minore di nuotatori implica minori disagi per gli animali e consente incontri più interessanti ed etici. Nel 2023 il governo dominicano ha annunciato l’intenzione di istituire la prima riserva marina al mondo per i capodogli, un’area protetta di oltre 770 chilometri quadrati che potrebbe contribuire a garantire un futuro più roseo a questi straordinari animali.
Un tuffo nel cuore di Dominica
Nel 2024 sono andata a Dominica. Il turboelica che scendeva tra le nuvole dorate della sera verso la costa scoscesa e ricoperta di giungla era pieno: non di altri visitatori che ambivano a nuotare con i capodogli, ma di gente che tornava a casa per il Carnevale, o Mas Domnik come viene chiamato a Dominica. Non mi ero resa conto che il mio viaggio coincideva con questa festa fino a quando, durante l’imbarco, avevo aiutato un altro passeggero a eludere le restrizioni sui bagagli in cabina portando la sua custodia con la tromba. «Si chiama Annabel», mi ha detto in tono serio parlando del suo strumento. Era un musicista jazz di Saint Croix che andava a Dominica per suonare durante il Carnevale.
Quando gli ho raccontato dei capodogli, mi ha guardato come se stessi andando a una gara di giocolieri con il fuoco. «Sei avventurosa», mi ha detto. «Solo a volte», ho risposto, perché era più facile che spiegare la febbre. Nel 2016 sono andata a Tonga a nuotare con le megattere per questa rivista, un’esperienza di vita straordinaria (sì, punto al titolo di Capo Inviato per le Balene). Ho nuotato con lagenorinchi scuri e otarie orsine della Nuova Zelanda, e ho trascorso un po’ di tempo in volo in elicottero nell’arcipelago artico canadese per cercare di giocare in acqua insieme ai beluga. Come ho detto, non c’è cura. Il mio tassista ha imboccato la strada a tornanti tra le montagne mentre calava il buio sotto una pioggia battente.

Dominica è un’isola vulcanica lunga 46 chilometri e larga 25 chilometri, ricca di sorgenti termali e soggetta a terremoti; il suo entroterra ammantato di foresta pluviale conserva l’aspetto selvaggio e inquieto della giovane Terra non ancora erosa dal tempo. Le mete imperdibili per i turisti includono lo Champagne Reef, dove dal fondale marino si levano migliaia di bollicine provenienti da sorgenti vulcaniche, e il Boiling Lake, una fumarola allagata nel Morne Trois Pitons National Park. Mentre attraversavamo la spina dorsale dell’isola, allontanandoci dal versante atlantico per iniziare la discesa a ovest verso la capitale Roseau, la temperatura si è alzata, l’aria resa mite dal caldo Mar dei Caraibi.
Ho guardato l’acqua immaginando i capodogli nascosti nelle profondità marine. Il mio viaggio era organizzato da Natural World Safaris, che organizza spedizioni naturalistiche in tutti i continenti e tende a ispirare una duratura fedeltà tra i suoi clienti. Due persone del mio gruppo di quattro, Chris e Carole Skelt, erano dei veterani e avevano in programma per il futuro altre due partenze. NWS collabora con un diving centre vicino a Roseau, Dive Dominica, e con il tour leader americano, Patrick Dykstra, cameraman subacqueo e pioniere del nuoto con le balene.
Dialoghi sottomarini
Da adolescente, affascinato dal modello in scala di una balenottera azzurra esposto nello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington, Dykstra decise di voler nuotare con uno di questi cetacei, un’ambizione (poi realizzata moltissime volte) che avrebbe segnato la sua vita. Per finanziare i suoi viaggi era diventato avvocato societario, attività che alla fine ha lasciato per dedicarsi alle balene a tempo pieno. Nel frattempo ha maturato una prestigiosa esperienza fotografica, vincendo un BAFTA per le sue riprese delle orche per Blue Planet II. Da 15 anni visita Dominica e i suoi capodogli.
«C’è una fossa profonda particolarmente vicina alla riva e, grazie alla sua topografia, l’isola possiede un eccellente versante sottovento», ci ha detto Dykstra, spiegando perché la costa caraibica di Dominica è un luogo privilegiato per nuotare con i capodogli. «Nessuno va a cercarli sul versante atlantico. L’oceano è troppo agitato». Le correnti fredde che scorrono attraverso le fosse oceaniche portano nutrienti che attirano i calamari giganti, fonte di cibo fondamentale per i capodogli. Immergersi a molte centinaia di metri di profondità non è un problema per questi cetacei, che passano la vita a fare la spola tra la superficie e le profondità in cui la luce non riesce a penetrare, usando il suono per trovare le loro prede.

I capodogli presentano nella testa una sacca d’olio, l’organo dello spermaceti, che favorisce i clic di ecolocalizzazione. Lo spermaceti è una sostanza cerosa che veniva utilizzata per la produzione di candele e combustibili per lampade, un bene prezioso durante l’epoca della caccia commerciale alle balene. Per ricavare questa sostanza furono uccisi centinaia di migliaia di capodogli, animali mansueti che vivono in gruppi con stretti legami sociali – una caccia che li portò quasi all’estinzione.
Oggi i click dei capodogli sono oggetto di un rinnovato interesse: un programma scientifico adeguatamente finanziato con sede a Dominica, il Project CETI (Cetacean Translation Initiative), sta cercando di utilizzare l’apprendimento automatico e la robotica per decifrare il modo in cui comunicano. Se avrà successo, il progetto potrebbe fornire preziose informazioni sulla cognizione e sul comportamento di questi animali, e persino cambiare la nostra comprensione della natura del linguaggio. I click di ecolocalizzazione sono stati fondamentali anche per la nostra missione. Per cinque giorni abbiamo seguito la stessa routine.
Sotto la superficie
Alle 8.30 io e gli altri tre nuotatori partivamo in una piccola barca con Dykstra e un team di Dive Dominica: la guida Nigel Seraphin, il capitano Irwin ‘Stinger’ Dublin e Marcus Hodge, che faceva un po’ di tutto. Arrivati al largo, infilavano in acqua un idrofono artigianale ma efficace (un’insalatiera rivestita di neoprene posta all’estremità di un’asta, più le cuffie) per cercare di cogliere i caratteristici click, che potevano assomigliare a un leggero picchiettio di unghie sul metallo, o a una raffica di suoni quando puntano un calamaro. Dal momento che i capodogli a caccia di solito si immergono per circa 45 minuti e salgono in superficie solo per 15 minuti circa per respirare, il tempismo era essenziale. Qualcuno gridava «Eccolo che soffia!», quando un esemplare emergeva con il suo caratteristico spruzzo.
La prima mattina ne abbiamo trovato subito uno. Ho messo pinne e boccaglio, impaziente ed emozionata. Non appena Dublin si è messo in posizione e ha fermato l’elica, sono scivolata in acqua dalla poppa, facendo meno rumore possibile, insieme a Dykstra e Fernanda Barreto, una brasiliana che stava facendo il viaggio della vita. L’acqua era calma, ma così piena di sedimenti trasportati da una notte di forti piogge che riuscivamo a malapena a vedere oltre il nostro braccio. Nuotavo vicino a Dykstra, alzando ogni tanto la testa. Sopra la superficie, la parte anteriore squadrata dell’enorme testa di un capodoglio si avvicinava sempre di più. Pareva quasi incombere su di noi, ma era nascosto dall’acqua torbida. Sentivo il corpo fremere per la tensione.
Dov’era? A un certo punto Dykstra ha afferrato le braccia di Barreto e le mie, bloccandoci. Improvvisamente l’acqua torbida è diventata carne grigia. Il capodoglio si è materializzato a pochi metri di distanza, riempiendo il mio campo visivo. Ho intravisto il suo occhio che ci osservava prima di immergersi, il corpo e la coda che scendevano con un movimento fluido sotto di noi. «È stato troppo veloce! », ha detto Barreto mentre ondeggiavamo in superficie in attesa che la barca venisse a riprenderci. «Non è abbastanza! Voglio essere circondata da questi animali». I sintomi erano chiari. La febbre aveva fatto un’altra vittima.
Carnevale caraibico
Il Carnevale si festeggia il lunedì e il martedì precedenti il Mercoledì delle Ceneri. Per quanto ne so, molta gente non dorme per 48 ore. Alle 7.30 del lunedì mattina ho camminato fino a Roseau dal mio hotel, un chilometro e mezzo estenuante lungo la banchina di una strada stretta e trafficata, per assistere alla fine del J’ouvert. I festeggiamenti che segnavano l’inizio dell’evento erano cominciati ben prima dell’alba con ritmi di danza incalzanti che vibravano sull’isola nelle ore piccole, simili a una versione umana dei click dei capodogli. In città, camioncini con i pianali carichi di pile di altoparlanti alte oltre quattro metri avanzavano lentamente nelle strade affollate vicino al lungomare.
I camion trasportavano anche DJ e artisti locali che suonavano e ballavano il bouyon, un genere fusion tradizionale. Dietro di loro la gente saltava e ballava, bevendo da bottiglie d’acqua che molto probabilmente contenevano altri liquidi. C’erano pochi turisti: la festa sembrava un vero raduno della comunità locale, oltre che uno sport di resistenza.

Quasi tutti i testi delle canzoni erano in kwéyòl, il creolo dominicano basato sul francese, le cui radici risalgono a più di 300 anni fa. Dopo Colombo, gli indigeni kalinago respinsero con successo gli aspiranti colonizzatori spagnoli, ma alla fine del XVIII secolo l’isola fu rivendicata dalla Francia, poi soppiantata dalla Gran Bretagna. Dominica conquistò l’indipendenza nel 1978. Sull’isola vivono ancora circa 2.200 kalinago, che costituiscono la più grande comunità indigena sopravvissuta nei Caraibi, ma la maggior parte dei dominicani è di origine africana o mista, discendenti degli schiavi portati dagli inglesi. Seraphin mi ha raccontato che durante il Carnevale la gente del suo villaggio suona con tamburi fatti con pelli di capra e fruste.
«È un oggetto che risale all’epoca della schiavitù», mi ha spiegato, «ma ora la si schiocca solo in aria, per simboleggiare la fine di quel periodo». Il martedì pomeriggio, dopo aver finito di nuotare, la barca mi ha fatto scendere su un molo in città, e sono così passata dal mondo monocromatico dei capodogli a un’esplosione di colori e suoni. I camion con gli altoparlanti avanzavano accompagnati ora da gruppi di donne che sfilavano, per lo più in abiti coordinati, per contendersi il titolo di band dell’anno con nomi come Fantacy Tribe, Amnesia Carnival Band e Hysteria Mas. Ballerine dalle forme molto diverse sfoggiavano body succinti, calze a rete, giarrettiere e copricapi con piume e paillettes sfavillanti.
Fuori dalle rotte
Quando mi sono fermata per prendere un punch alle arachidi (immaginate del burro di arachidi liquido con rum), il venditore ambulante mi ha chiesto se mi piaceva Dominica. Ho risposto di sì. Lui mi ha fatto un grande sorriso. «È l’isola più bella del mondo», mi ha detto, «con la gente più bella! ». Dominica è davvero un luogo magnifico con gente bellissima, ma nel corso dell’ultimo decennio è stata colpita dalle avversità. Nel 2015 la tempesta tropicale Erika ha provocato gravi inondazioni e due anni dopo l’uragano Maria ha devastato l’isola, danneggiando o distruggendo oltre il 90% delle case e causando forti traumi praticamente a tutta la popolazione. Le conseguenze dell’uragano sono ancora visibili: cumuli di detriti, case con finestre sbarrate e senza tetto, interi edifici squarciati come diorami. Dublin lamenta soprattutto la perdita della biblioteca pubblica di Roseau.
«I ragazzini ci andavano il pomeriggio dopo la scuola», ci ha detto. «Ora stanno solo al cellulare». L’isola ha un gran bisogno di fonti di reddito. In queste acque transitano le navi da crociera, ma Dominica rimane una destinazione fuori dalle rotte più battute poiché non possiede molte spiagge di sabbia bianca, ambite da chi viaggia nei Caraibi (oltre che dalle principali catene alberghiere).
Queste pressioni economiche hanno reso più complessa la definizione delle norme per la riserva dei capodogli. Non si è ancora deciso come saranno regolate esattamente le attività di navigazione e turistiche e, soprattutto, come verranno fatte rispettare queste regole. Sono sempre più numerosi i gruppi che vedono i capodogli come una potenziale fonte di guadagno, e quindi esercitano pressioni sui funzionari governativi affinché allentino i permessi o per cercare di ottenere favori. Ho parlato con uno di loro, il quale ha ammesso che la sfida è impegnativa. «Perché il sistema funzioni, le regole devono essere uguali per tutti», ha detto, «e questo significa dire a persone potenti che devono aspettare il loro turno. Ma qui non si tratta di ammirare la Gioconda a mezzanotte. Stiamo parlando di animali».
Il limite invisibile
Prima di quest’anno, mi ha detto Dykstra, il governo rilasciava un solo permesso al mese per nuotare con i capodogli, quindi i suoi ospiti avevano i cetacei tutti per loro. Nel 2024, forse a causa dell’incertezza che circonda la riserva, ne sono stati rilasciati di più, e si è arrivati ad avere quattro barche in acqua contemporaneamente. A volte collaborano e fanno a turno, ma non sempre. Un pomeriggio abbiamo visto una barca far andare in acqua sei persone con un gruppo di capodogli, quando il limite legale è di tre visitatori e una guida. Intorno si aggiravano imbarcazioni di whale-watching e un’altra barca era diretta verso la zona per fare entrare in acqua altri nuotatori. L’atmosfera era frenetica. Abbiamo preferito andarcene.
«Lo capisco», ha detto Dykstra. «La gente ha bisogno di soldi. L’isola è in difficoltà. Ma bisogna ragionare sul lungo termine». In Sri Lanka, per esempio, il boom non regolamentato di escursioni di whale-watching e per nuotare con le balenottere azzurre è cessato quando gli animali si sono spostati più al largo, forse seguendo il krill, ma forse anche per sfuggire a tutta questa attenzione
«Alcuni operatori non si preoccupano del benessere degli animali», ha aggiunto Seraphin, «ma io non voglio contribuire al declino di una specie». Seraphin e Dykstra si augurano che per la riserva dei capodogli il governo ripristini il criterio di un unico permesso al mese. Dublin ha suggerito l’idea di una settimana tra una sessione e l’altra per consentire ai cetacei di riposare. Mi ha chiesto quale parola userei per descrivere i capodogli. Ho detto ‘dignitosi’, per il modo in cui ci guardano, la maestosità con cui si tuffano, la padronanza che hanno del loro ambiente. «Io direi ‘mozzafiato’», ha replicato. «Vedo persone uscire dall’acqua piangendo. Vogliono abbracciarmi. Dobbiamo essere più attenti al benessere degli animali e preoccuparci della loro salvaguardia. Perché quello che vedete voi, voglio che lo vedano anche i miei nipoti».
Nel ricercare incontri con la fauna selvatica, spesso mi pongo domande scomode. Se amo le balene e voglio vederle nel loro habitat, come posso farlo senza far loro del male? È sbagliato anche solo provarci? I pericoli e i disagi che i cetacei devono affrontare a causa della navigazione, della pesca, del rumore sottomarino e dei cambiamenti climatici superano di gran lunga l’impatto di poche persone con il boccaglio, e ormai sappiamo tutti che il turismo può essere un importante fattore di conservazione. Nel bene e nel male, quando una specie porta posti di lavoro, reddito e orgoglio nazionale, la gente è più propensa a proteggerla.
Nuotare in maniera consapevole
Ecco quindi alcuni consigli per nuotare con le balene in modo responsabile, frutto delle mie conversazioni con le guide a Dominica e delle mie esperienze in altri Paesi. Se qualcuno vi avvicina su una spiaggia proponendovi un’escursione di un giorno per fare questa attività, non andateci. Siate consapevoli che dovrete investire tempo e denaro per vivere un’esperienza gratificante per voi e minimamente invasiva per gli animali. Dovrete essere pazienti. Se i permessi sono severi – come è giusto che sia – potreste dover pianificare con largo anticipo per assicurarvi un posto in un’escursione gestita correttamente.
Verificate non solo che l’agenzia abbia il permesso, ma anche che segua le regole. Un altro elemento positivo è che il tour operator sia in grado di condividere i modi concreti in cui si impegna a favore della comunità e dell’ambiente. Natural World Safaris, per esempio, ha aiutato i piccoli pescatori di Dominica ad acquistare attrezzature più visibili dalle grandi navi, riducendo la probabilità che vengano investite e distrutte. In questo modo i pescatori risparmiano denaro e si riduce la quantità di rottami nell’oceano in cui i cetacei possono impigliarsi. È una cosa semplice, ma ci guadagnano tutti.

Abbiamo incontrato i capodogli in tutti i cinque giorni in cui siamo usciti a cercarli, a volte da soli, altre in coppia o in piccoli gruppi. Abbiamo nuotato in acque calme e in mareggiate di due metri e mezzo, ci siamo imbattuti in animali che non volevano saperne di noi e in altri che si rovesciavano e nuotavano sotto di noi a pancia in su, emettendo clic incredibili mentre scansionavano i nostri corpi con il suono. «Sono riuscita appena a vederlo!», Barreto ha detto più di una volta dopo il passaggio di un capodoglio, anche a distanza ravvicinata. Capivo cosa intendeva. Mi sembrava di non essere mai abbastanza presente. Provavo un senso di avida insaziabilità ogni volta che ne vedevo uno. Volevo capire di più su di loro, sapere tutto, forse, in modo bizzarro, essere uno di loro.
Durante la mia ultima discesa in acqua, due capodogli si sono avvicinati lentamente, guardandoci con il loro modo intelligente e imperscrutabile. Quando il più vicino dei due si trovava a pochi metri da me, la mia GoPro ha deciso di bloccarsi. Ho premuto i pulsanti in preda a una crescente frustrazione. Ma un attimo dopo ho pensato “Te lo stai perdendo”. Ho smesso di agitarmi. Guarda e basta, mi sono detta. E ricorda. Il capodoglio ha piegato il suo corpo enorme e si è immerso. Il movimento era così bello, così fluido. Con una tranquilla oscillazione della coda, è scomparso a testa in giù negli abissi color cobalto. Naturalmente quel capodoglio – quello di cui non ho una foto – è quello che sogno di più, quello che ricordo meglio.