Napoli, nuove narrazioni: la città che cambia

Napoli, nuove narrazioni: la città che cambia

Hotel di lusso, ristoranti d’autore, spazi culturali restituiti alla comunità: oltre il folklore, Partenope sa trovare ancora una volta la propria identità originale.
Gli spazi di Made in Cloister.
Gli spazi di Made in Cloister.

Premendo un bottone al centro dell’enigmatica “audio-scultura” circolare in fogli di palma, ottone e alluminio che campeggia sulla parete della lobby rossa dell’hotel de Bonart Naples Curio Collection, si possono ascoltare le registrazioni dei desideri – quasi sempre rivolti agli altri, a conferma della fama di città inclusiva ed empatica – raccolte da Antonella Raio intervistando gli abitanti della città. L’opera di Raio, Ascolto, è una delle 150 disseminate tra spazi comuni e stanze dello storico albergo partenopeo – inaugurato nel 1870 come Macpherson’s Pensione Britannique, e noto fino allo scorso autunno come Britannique – nella zona collinare che si affaccia sull’elegante quartiere Chiaia: oggi è parte del Caracciolo Hospitality Group (che in città ha anche Palazzo Caracciolo) con la nuova insegna a sottolinearne l’affiliazione alla collezione del gruppo Hilton dedicata a luoghi unici e capaci di raccontare le città in cui sorgono.

Soprattutto attraverso l’arte contemporanea, infatti, il lussuoso cinque stelle riesce a tenere saldo il legame con Napoli, i suoi riti e la sua cultura – in cui, da sempre, animo aristocratico e popolare si intersecano – nel segno di un’inedita e vibrante modernità: riaperto già nel 2020 dopo un radicale restyling, da qualche mese è diventato una sorta di galleria ospitando le opere di 50 artisti napoletani selezionati dallo studio Gnosis Progetti, che firma l’intero progetto, invitandoli a interpretare miti e leggende della città: dalla Sibilla di Daniela Pergreffi, che ispirandosi alla Sibilla Cumana elargisce parole profetiche scritte sulle foglie nella lobby blu, alle altre figure del mito partenopeo che decorano le sei suite ad esse dedicate, tra cui A PoPular Siren di Roxy in The Box nella Partenope e la Mbriana in smalto e cloth su carton plume di Danilo Ambrosino. L’hotel incarna così un tratto distintivo della città stessa: la capacità di aprirsi al nuovo senza tradire le proprie origini, di celebrare il proprio heritage senza cedere né al folklore né all’omologazione globalizzante.

La reception dell’hotel De Bonart Naples, Curio Collection by Hilton

La sfida tra tradizione e modernità

Certo, oggi più che mai anche Napoli è minacciata da overtourism, banalizzazione culturale, caccia ai selfie più instagrammabili; e perfino dall’invasione di format gastronomici internazionali che per la prima volta – irretendo come sirene tanto i turisti stranieri in cerca di pause dal repertorio locale quanto i napoletani desiderosi di novità – mettono almeno parzialmente in discussione la proverbiale devozione alla tradizione, che dal canto suo rischia di essere sempre più assoggettata a cliché.

Così, gli effluvi di fritto invadono le principali strade cittadine assieme alla folla eterogenea di turisti in cerca degli scorci più pittoreschi (e già visti) di quella che fu la capitale del Regno delle Due Sicilie, mentre spesso musei e chiese che custodiscono veri capolavori restano quasi deserti. Ma allo stesso tempo sopravvivono – e nascono – sacche di resistenza, luoghi di sperimentazione, avamposti di cultura che perpetuano uno degli aspetti più felici dell’animo napoletano, e di una città che ha nelle stratificazioni e contaminazioni il suo segno distintivo: l’essere aperti all’altro, il non aver paura del nuovo, pur non smettendo mai di custodire e celebrare la storia alle spalle.

Il nuovo belvedere di Palazzo Reale

Rinascita e condivisione: la trasformazione degli spazi storici

Lo dimostra il recupero di spazi storici restituiti alla città e ai suoi visitatori, aprendoli a fruizioni condivise che abbattono gli steccati della cultura “alta”. Dal Museo della Fabbrica e il belvedere di Palazzo Reale – che permette per la prima volta, attraversando i sottotetti, di godere del panorama sul golfo dal torrino ottocentesco – al Real Bosco di Capodimonte, dove alcuni edifici rustici sono stati trasformati dal progetto Delizie Reali in luoghi di bellezza e ristoro: dalla Stufa dei Fiori, per colazioni e pranzi veloci con vista sulla storica reggia che ospita il museo, al Giardino Torre dove, nell’antico casamento dei giardinieri tra serre e frutteti, si sfornano ottime pizze.

E dopo la riqualificazione del Rione Sanità (passata tanto per iniziative sociali che coinvolgono la comunità quanto per gli indirizzi enogastronomici) e l’apertura di Made in Cloisterfondazione d’arte contemporanea che accoglie mostre, eventi e residenze d’artista nell’ex chiostro piccolo della rinascimentale Chiesa di Santa Caterina a Formiello – è interessante il progetto di rigenerazione urbana de La Santissima, che prevede la riconversione temporanea (al momento, per 48 mesi) dell’Ex Ospedale militare di Napoli affidata alla società Urban Value, che si è già occupata di spazi come il Guido Reni District a Roma, per ospitare eventi culturali e spazi di co-creazione artistica e innovazione partecipata nel cuore dei Quartieri Spagnoli.

La suite Strada di Atelier Ines

Innovazione nell’ospitalità e nella gastronomia

Ma a Napoli anche l’ospitalità e la gastronomia guardano avanti, oggi arricchiti da nuovi stimoli che arrivano pure da fuori, e da un’inedita capacità di fare finalmente sistema. In quest’ottica, sono buone notizie per tutti le imminenti aperture e le recenti novità che hanno aggiornato l’hôtellerie napoletana: si attendono l’arrivo di Rocco Forte Hotels a Palazzo Sirignano, alla Riviera di Chiaia, con 46 suite e piscina, e del Radisson Red Napoli, con 150 camere, terrazza panoramica e diversi ristoranti in quella che fu la sede del quotidiano Il Mattino, a ridosso di via Partenope; mentre anche per lo storico Palazzo D’Avalos a via dei Mille si parla di un futuro a cinque stelle, ancora non ben definito.

Non mancano i boutique hotel indipendenti di grande fascino: dall’Atelier Ines, a due passi dalla Sanità, dove la coppia formata dall’artista tunisina Inès Sellami e dal designer di gioielli napoletano Vincenzo Oste ha ricavato nell’edificio che ospita i loro studi anche sei camere e suite dallo spirito eclettico, al Caruso Place che, all’interno del vanvitelliano Palazzo Berio lungo via Toledo, unisce ambienti d’epoca, moderne tecnologie e trattamenti wellness.

Pomo d’Oro, un piatto dello chef Domenico Candela al George Restaurant

Ma sono ancora i grandi alberghi la scena principale dell’avanzata del fine dining partenopeo. Se l’arrivo delle due stelle Michelin in città, al George Restaurant sul roof-garden dell’albergo adiacente al deBonart, si deve alla lungimiranza della proprietà del Grand Hotel Parker’s (e all’indubbio talento dello chef Domenico Candela, con la sua cucina partenopea d’autore aperta alle contaminazioni, come nell’Agnello Laticauda con ristretto di papaccella napoletana, jalapeño fermentato e bagna caoda leggera di sardine affumicate), l’estate 2024 ha visto anche l’esordio della raffinata proposta firmata dallo chef francese Alain Ducasse, con l’apertura dell’omonimo ristorante al nono piano del lussuoso hotel Romeo progettato da Kenzo Tange, dove l’executive chef Alessandro Lucassino interpreta la visione del maestro d’Oltralpe rendendo omaggio alla cultura e ai sapori del territorio campano: dal Raviolo di foie gras d’anatra e consommé di pollo ai Tagliolini al pane di ieri con ricotta di fuscella e tartufo bianco.

Indirizzi blasonati che rappresentano la felice punta dell’iceberg di un processo di evoluzione e apertura gastronomica che ha le sue basi nell’opera coraggiosa di alcuni dei più interessanti chef della regione, che negli ultimi anni hanno scelto proprio il centro di Napoli come palcoscenico. Giuseppe Iannotti ha affiancato al suo Krèsios di Telese Terme (due stelle Michelin all’insegna della sperimentazione) la sfaccettata proposta gastronomica ospitata dalla struttura museale delle Gallerie d’Italia, dalla prima colazione e il menu del bistrot Luminist ai cocktail e gli assaggi sfiziosi del tapas bar Anthill, fino alla cucina libera e creativa del ristorante 177 Toledo.

Lo chef Marco Ambrosino. Foto di Letizia Cigliutti

Mentre il procidano Marco Ambrosino è rientrato da Milano per guidare la parte gastronomica del visionario progetto di ScottoJonno, café chantant ottocentesco sotto le volte in acciaio e vetro della Galleria Principe di Napoli recuperato dall’oblio e trasformato in cocktail bar, bistrot e biblioteca con una collezione di oltre mille volumi dedicati a Napoli. Al piano superiore Ambrosino manda in scena la sua cucina colta e audace, basata su indagini antropologiche e sociologiche da una sponda all’altra del Mediterraneo, che non ha paura di aggirare i canoni talora ingombranti della tradizione regionale per incentrarsi su una visione più ampia e lunga del prezioso patrimonio culturale del Mare Nostrum e sulle potenzialità della città: dalle sue illustrazioni che animano il menu a piatti come Mare Clausum, un raviolo di erbe di costiera e mandorle, brodo di alghe, olio di pino, agresto e baharat, granita di amaro mediterraneo.

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