Mondo Manaus: la metropoli amazzonica, charme oltre mito e retorica

Mondo Manaus: la metropoli amazzonica, charme oltre mito e retorica

La capitale dello stato di Amazonas, quintessenza del Brasile fluviale e pluviale. Tra leggende, allure coloniale e neo-glam.
Incontro delle acque - credit Visit Brasil

Di articoli in prima persona ne ho scritti una manciata in trent’anni di giornalismo, escludendo editoriali et similia il conto scende però a zero. Con Manaus eccezione e novità si sono imposte ché questo report/reportage è (stato) una faccenda personale: città immaginata e ipotizzata, immagazzinata tra ricordi fittizi, pensata come stargate di un’Amazzonia da sussidiario e poi destinazione a prescindere. Messa mano a mano a fuoco ma senza prospettiva, ne ho delegato la costruzione a letteratura pop & cult, dispacci e narrazioni farcite di luoghi comuni e glassate di retorica. Dunque travisata: capita con certi luoghi, capita a molti di noi. In quel Brasile di frontiera, sconfinato e senza frontiere, è stato tuttavia diverso. Fine della premessa: ok all’io narrante (per una volta), se però diventa un io narrato non si va da nessuna parte.

Disordine di grandezza

Nello stato di Amazonas – il più grande del paese (sono ventisette) – l’Italia entrerebbe cinque volte e avanzerebbe un bel po’ di spazio. A separarlo dall’Atlantico il #2 della lista, il Parà. Tra le due rispettive capitali, Manaus e Belém, si stende un mare di mari d’acque dolci: rettilinei, panciuti e sinuosi e di nuovo (apparentemente) dritti come canali senza argini fissi. Immobili e invece in movimento, s’alzano e scendono, spariscono e si ripresentano maestosi e impetuosi, al rallentatore. Il primo incontro con l’inabbracciabile e l’incommensurabile mi si presenta così, sul volo dall’oceano all’aeroporto Eduardo Gomes. Sancendo un’ovvietà: il rio è un sistema di ecosistemi fluviali, una galassia di verdi e marroni che rinuncio a contenere e faccio fatica a collocare. 

Quante Amazzonie?

Un modo per formarmi un’idea – introduzione e compendio di verifica – è l’assaggio di biodiversità proposto dal MUSA (Museu da Amazônia) nella riserva forestale Adolpho Ducke. Inizio con un giro tra i sentieri del jardim botânico – coltivando il sospetto che se non li curassero con solertissima frequenza sparirebbero nottetempo, inghiottiti dalla vegetazione – tra felci, bromelie e orchidee, farfalle e chissà cos’altro. Quindi salgo in cima alla torre de observação: dalla piattaforma a 42 metri dal suolo intuisco ben oltre il chilometro quadrato di pertinenza del Musa che è solo un pixel del gigantesco rettangolo verde nella parte nord della città.

Mi accomodo nell’ufficio di Filippo Stampanoni Bassi, in compagnia di aria fresca, curiosità (reciproca), succo di cupuaçu. Archeologo italiano e direttore del Musa, parla chiaro: «La vastità dell’Amazzonia va oltre la biodiversità visibile. C’è tanta acqua, se non di più, acqua alla superficie su cui navighiamo. Idem per la comunicazione orale, per esempio. Un’infinità di famiglie linguistiche superata solo da quella di Papua-Nuova Guinea». 

Il Teatro Amazonas 

Grandeur in controluce

Ora ho un nuovo (ennesimo) sistema di coordinate per perdermi, mi muovo lungo stradoni bordati da muri di vegetazione, qualche saliscendi nel quartiere Cidade de Deus – prototipo di favela brasiliana, però “addolcita” – e boulevard tra zone industriali e residenziali. Posizione e logistica avrebbero altrove scoraggiato investitori e produttori: lontanissima da quasi tutto, quasi solo barche e aerei per raggiungere Manaus. E invece no, quei quasi qui fanno la differenza. Regole speciali, incentivi & co ne hanno fatto dagli anni Sessanta un centro di produzione su larga scala di quasi tutto. Un brand tra i tanti: migliaia di Harley Davidson made in Amazonia.

Prima ancora c’è stato il boom del caucciù, catapulta di sogni e azzardi, volano di fantastilioni della borghesia tra fine Ottocento e code di belle époque. Cerco allora altri spunti di riferimento, più centrali: il Teatro Amazonas e le banchine del porto. Il primo si staglia, smagliante, sgargiante e smargiasso, su praça São Sebastião. Il rosa pastello fascia l’esterno, sormontato da una cupola oversize da ardite cromie che ricordano certe chiese di Sicilia (Palermo) o Sardegna (Barumini).

Lo stordimento prosegue dentro, guardando la volta sopra alla platea si dovrebbe vivere la stessa visione vertiginosa che si prova sotto alla Torre Eiffel. Salendo ai loggioni un plastico del teatro in Lego, col grigio non ancora rimpiazzato dal rosa. Uno dei sipari originali si dice ritraesse il contatto tra Rio Negro e Solimões, tappa obbligata del mio mantra “wander & wonder”.

Chissà quali fremiti il drappo creava nel rimescolare le acque (di velluto e ricami) tra gli applausi. E chissà cos’aveva in mente Carlos Fiscarrald (sic) quando ha iniziato a sognare un teatro dell’opera in un angolo fluido e madido di mondo. Idem per Werner Herzog che ha diretto Klaus Kinski nell’estenuante e rocambolesco Fitzcarraldo (miglior regia a Cannes nel 1982). Una scena chiave si svolge lì, col protagonista e Claudia Cardinale alle prese con l’opera. Sulla pavimentazione della piazza – ora lo noto, ora ha un po’ più senso – geometriche onde bianche e nere. Su un lato la chiesetta, ormai quasi fusa con una pousada, sugli altri locali della movida che nei finesettimana scuote l’indolenza degli altri giorni. 

Street art a Manaus

Foodscape da capogiro

Per arrivare al porto scelgo una camminata con soste d’ordinanza alla Skina dos Sucos (lungo la animata avenida Eduardo Ribeiro) e al Café do Pina (in praça da Polícia) per chiacchiere con avventori vari. E poi il grande fiume che ancora non vedo ma avverto prossimo. Lo sguardo allenato al liberty che fu – arrugginito, dimesso e malmesso (però ancora ostinatamente presente) – fa da apripista ai mercati: capannoni e gallerie in primo piano, barconi e amache sullo sfondo, in mezzo il viavai di merci e genti in misurata frenesia.

Inizio lì a popolare il pantheon antropo-gastronomico di Manaus: farofa (granella di farina di manioca tostata), queijo (formaggio) morbido, una sorta di ricotta vaccina. In fondo alla feria c’è un hangar in cui non si vende altro, banane su banane di ogni foggia, prezzo e origine. E poi i pezzi grossi, pesci che altrove troverebbero posto tra le specie d’alto mare: i capisaldi tambaquì e pirarucu, matrinxã e piranha, jaraquì e tucunaré. Una delle due navi usate per le riprese di Fitzcarraldo pare sia lì davanti, sarà vero?

Plausibile, possibile e probabile si rincorrono. Alimentando la storia delle storie su Manaus, una città per la quale si fa fatica a trovare una definizione che resista al tempo. La più curiosa me la regala Otoni Mesquita, artista locale con una vita trascorsa a viaggiare per tornare in una metropoli che catullianamente lo accoglie e mette di lato (ricambiata). «Manaus oscilla tra oblio collettivo e ricordi personali con un senso effimero di comunità. Ha radici dure ma su un terreno soffice, permeabile». 

L’incontro tra i due fiumi

Basta indugi, il matrimonio tra i corsi del rio Negro e Solimões ora s’ha da fare. La miscela – stirred, not shaken – di acque diverse per provenienza, temperatura, acidità e velocità produce una cerniera bicolore che va avanti per chilometri prima di cedere all’unione. È qui che il fiume torna a chiamarsi Amazonas, per altri 1.500 chilometri fino al capolinea in mare. Un doveroso salto al nuovissimo terminal delle crociere fluviali Lúcia Almeida e a Ponta Negra, una specie di South Beach di Miami: been there done that. Opto quindi per altre acque, fuoriporta.

Gastronomia tipica – credit Visit Brasil

Quel battello per Juma

Il rio Juma, due ore a sud di Manaus, è uno dei tanti satelliti da scoprire nella galassia acque-terra della città. Tra i più belli e attrezzati per brevi escursioni e soggiorni più lunghi, offre il meglio del campionario naturalistico-ricreativo della zona: varietà di ambienti (ampie distese d’acqua e labirinti di stretti canali), avifauna e delfini rosa, isole con qualche villaggio fuori dal tempo. E soluzioni di ospitalità di livello, da quelle con meno fronzoli (ma autentiche) ai miniresort di alto livello: l’incantevole Juma Amazon lodge e l’Amazon Eco lodge

E agora?

Manaus l’ho dunque vista e vissuta, almeno un po’? Credo di sì, determinato a tornarci. Per partire da lì lungo altre rotte di ore e giorni, salpando e nuotando, camminando e navigando di nuovo. Per rientrare in una metropoli troppo grande per sentirla intima, non però abbastanza da perdersi. O forse sì, in fondo un po’ ci spero.

Dormire a Manaus

La città offre una discreta gamma di opzioni, le tre migliori secondo noi – combinando posizione (ottima), servizio e stile – sono: Juma Opera (super rooftop con piscina), Villa Amazônia (boutique hotel di gran livello), Casa do Obispo (imparaggiabile value for money).

Come raggiungere Manaus

L’opzione migliore è Tap Air Portugal, l’unica compagnia aerea con voli diretti dall’Europa e con buone connessioni ad altre destinazioni brasiliane.

Per saperne di più (e organizzare il viaggio)

Alcuni siti utili sono Amazonas Cluster de Turismo, Amazonastur, Visit Brazil e Promobrasil.



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