Great Expectations: Londra e i nuovi hotel di lusso

Great Expectations: Londra e i nuovi hotel di lusso

Negli ultimi anni, alcuni dei più grandi marchi alberghieri hanno fatto il loro ingresso in città aprendo strutture di grande pregio. Uno sguardo alle novità più scintillanti.
La Granville Suite
La Granville Suite del Raffles London at the OWO, negli ex uffici del Ministero della Difesa del Regno Unito. Foto di John Athimaritis/Raffles

Dalla terrazza dell’ottavo piano del Peninsula hotel a Hyde Park Corner, aperto nel settembre 2023, ho ammirato la vista per antonomasia dei tetti di Londra: file di comignoli edoardiani incorniciati da torri e palazzi moderni. Pensavo che tutti gli edifici fossero appartamenti o uffici, ma un impiegato mi ha spiegato che questo skyline è in realtà dominato da hotel di lusso: il Dorchester, il Lanesborough, l’Hilton e l’InterContinental, solo per citarne alcuni. Si potrebbe pensare che siano sufficienti a soddisfare le richieste della clientela internazionale che affolla questa zona per la sua vicinanza ai negozi di lusso di Knightsbridge e Mayfair e al polmone verde di Hyde Park.

A quanto pare, non è così. Di recente, alcuni dei più grandi marchi mondiali del settore (Raffles, Peninsula, Mandarin Oriental) hanno aperto hotel di superlusso nel raggio di un miglio l’uno dall’altro, la maggior parte dei quali con prezzi superiori a mille euro a notte. Tra i londinesi come me, molti dei quali vivono la crisi legata al carovita, la notizia ha suscitato un misto di eccitazione e sgomento. Ma alberghi di questa portata e con questo budget non sorgono da un giorno all’altro; nella maggior parte dei casi, i progetti sono stati elaborati più di dieci anni fa, quando il clima economico era più temperato. Prendiamo l’Emory, l’albergo di proprietà di Maybourne, il gruppo dietro al Claridges e al Berkeley, aperto a luglio scorso a Knightsbridge. L’architetto, Richard Rogers, è morto l’anno scorso all’età di 88 anni, prima che il progetto fosse realizzato.

Una vista dal Beaumont. Foto di Zac and Zac/The Beaumont

Alcuni di questi hotel occupano strutture completamente nuove, come nel caso del Peninsula, dell’Emory e del Mandarin Oriental a Mayfair (il secondo hotel del gruppo nella capitale, aperto lo scorso autunno). Altri sono stati completamente rinnovati, come l’amato Beaumont, che ha visto un restyling con l’aggiunta di 29 camere in un edificio adiacente. Ma tutti sono stati presentati in ritardo rispetto alle previsioni. L’Old War Office a Whitehall, rilevato dal gruppo Raffles, con sede a Singapore, ha avuto un solo anno di ritardo, ma è probabilmente il più ambizioso. Questo gigantesco progetto da 1,8 miliardi di dollari ha trasformato un edificio amministrativo di 54mila metri quadrati in un hotel di lusso di 71mila metri quadrati, pur preservando lo spirito storico del luogo in cui lavorava Winston Churchill.

Lo scalone del Raffles London. Foto di John Athimaritis/Raffles

Al mio arrivo al Raffles London at the OWO, a pochi passi da Trafalgar Square, sono entrata in un atrio dominato da un’imponente scalinata in marmo, su cui pende un lampadario in vetro di Murano di 8 metri. Sebbene l’interno sia stato ammorbidito con tappeti e lanterne, la robusta ossatura originale dell’edificio traspare, e ho potuto facilmente immaginare gli impiegati governativi che si affrettavano lungo i suoi vasti corridoi, entrando e uscendo dalle sale riunioni.

Quegli uffici un tempo polverosi sono ora enormi camere e suite, con tende, luci e televisori controllati da un iPad che, nel mio caso, sembrava sempre perdersi tra le lenzuola. La superficie di questo hotel è così grande che, come ho notato quando ho cercato di trovare l’ascensore, sembra che ci sia un addetto a ogni angolo per reindirizzare gli ospiti smarriti. Sotto il livello della strada si trovano gli ex uffici dei servizi segreti e un vero e proprio covo da James Bond: il centro benessere all’avanguardia dell’hotel, su quattro piani, due dei quali contengono una spa di Guerlain.

Nuotando a dorso nella piscina di 20 metri, ho potuto immaginare un giovane Sean Connery che scivolava nella vicina vasca idromassaggio, proprio mentre Q e il suo team si chiedevano dove mai fosse finito stavolta. Tra i nove punti di ristoro dell’OWO ci sono diversi ristoranti di fama. Sono stato particolarmente entusiasta di Mauro Colagreco all’OWO, presieduto dallo chef argentino il cui ristorante principale, il Mirazur di Mentone, nel sud della Francia, ha tre stelle Michelin. Il mio menu degustazione di cinque portate “Terra e mare”, con abbinamento vini, era accompagnato da schede illustrate dedicate alle verdure principali. Nastri di umili carote sono stati esaltati da un sashimi di branzino, agrumi e succo di olivello spinoso, mentre il radicchio è stato servito con della succosa carne di cervo, salsa di senape e purea di mandorle.

Accompagnati da vini del Sudafrica, dell’Austria e della Francia, sono abbastanza sicura che questi piatti siano stati meglio di qualsiasi cosa che Churchill possa aver mangiato tra quelle mura. Un’altra ragione del distacco tra questi palazzi di lusso e l’economia odierna, tutt’altro che solida, è che molti di questi colossi alberghieri hanno puntato gli occhi sulla capitale del Regno Unito per decenni. Nel caso del Peninsula London, l’azienda di Hong Kong era alla ricerca del luogo perfetto per il suo primo hotel a Londra da 30 anni.

Da sinistra: L’ingresso del Little Blue, cocktail bar del Peninsula, foto di Will Pryce/The Peninsula; la suite Room dell’hotel Beaumont è stata concepita dallo scultore Antony Gormley. Foto di Mark Hazeldine/The Beaumont

Quando, nel 2015, un palazzo di uffici assai poco accattivante di fronte al Wellington Arch è stato messo sul mercato, il gruppo lo ha acquistato. L’edificio è stato raso al suolo per far posto a un hotel da 1,25 miliardi di dollari che avrebbe incarnato lo stile sfarzoso e orientaleggiante del Peninsula. Un maestro di feng shui ha approvato il posizionamento dei mobili in tutto l’edificio, anche negli uffici amministrativi, e, mi è stato detto al mio arrivo, ha guidato la piantumazione di due aceri giapponesi nel cortile e di quattro dei leoni di pietra che fanno da emblema all’hotel, due nel cortile e due all’ingresso.

Le 190 camere sono ampie ciascuna almeno 170 metri quadrati, con finestre a tutta altezza, molte delle quali con vista sul parco o sull’arco (la mia camera al terzo piano si affacciava sul Lanesborough, che appariva minuscolo da dove mi trovavo). Ho cercato di collocare l’arredamento; l’atmosfera è a metà tra una casa per single a Mayfair (nelle nuance noce e vaniglia) e l’Asia contemporanea (nelle testiere intrecciate ispirate al Laos).

Il bagno, tuttavia, ha superato la camera da letto in quanto a fascino: all’interno della vasta stanza in onice color caramello ci sono un gabinetto Toto, uno schermo televisivo incorporato nello specchio alla fine della vasca e un pannello di controllo da cui ho potuto regolare l’illuminazione in “modalità spa”. Come in tutti gli hotel del gruppo, c’è una speciale cassetta dove si possono mettere le scarpe da lucidare o il vassoio del servizio in camera, come ho fatto io il giorno dopo: è sparito come per magia.

I due ristoranti principali del Peninsula sono ciò che rende questo hotel di lusso davvero unico, però. In una sala sensuale e dalla luce soffusa il Canton Blue, con 50 posti a sedere, serve piatti cantonesi di alto livello, tra cui un’anatra alla pechinese incredibilmente buona, tagliata al tavolo. Ci siamo seduti in un separé sotto alla parete decorata da porcellane asiatiche nei toni del rosso e del rosa, un rifugio perfetto per una cena a due.

Una sala del ristorante Brooklands del Peninsula London. Foto di Will Pryce/The Peninsula London

Il Brooklands by Claude Bosi, il bar e ristorante sul tetto dell’hotel, è stato brillantemente concepito in omaggio alla passione del miliardario di Hong Kong Michael Kadoorie per i viaggi aeronautici. Vi si accede solo attraverso due ascensori in stile steampunk, progettati per assomigliare a mongolfiere, con interni in vimini e pelle ricamata.

Cenare lì è stata un’esperienza fantastica e al tempo stesso surreale, con una vista dalla cabina di pilotaggio a LED a un’estremità della sala, due sedili da pilota di Concorde all’altra e la riproduzione di un Concorde lunga 14,6 metri sul soffitto. In questo ambiente coinvolgente, lo chef Claude Bosi e lo chef de cuisine Francesco Dibenedetto ci hanno accompagnato in un tour culinario di due ore attraverso il Regno Unito, con calamaro della Cornovaglia alla griglia, agnello al punto rosa del Lake District con menta fresca e rabarbaro dello Yorkshire con emulsione di Champagne. Siamo stati fortunati a trovare un tavolo, cosa più ardua da quando il ristorante è stato premiato con due stelle Michelin. Raffinato, giocoso e decisamente britannico, il pasto ci è sembrato un distillato della migliore Londra.

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