Cercavo il silenzio e l’ho trovato in un piccolo eremo immerso nei boschi dell’Umbria. Tre giorni di piacevole sospensione dalla frenesia del “fare a tutti i costi”, da mail, telefonate, decisioni da prendere, imprevisti e progetti da pianificare. Tutto questo all’Eremito non è possibile perché qui non si viene per riempire il tempo, ma per lasciarlo scorrere, liberandosi del superfluo e trattenendo solo ciò che conta davvero.
L’Eremito è un puntino al centro di una biosfera Unesco da 3mila ettari: si raggiunge facilmente dall’autostrada del Sole (uscita Fabro) ma l’ultimo tratto sterrato da percorrere, circa 10 km, tra saliscendi di sabbia e sassi, sembra condurre verso un altrove sempre più remoto. Il mio consiglio è di venire soli, con un bagaglio leggero e con i cellulari rigorosamente spenti, anche perché non c’è linea telefonica e wi-fi negli spazi comuni e nelle stanze. A farci compagnia la natura, la pietra, il fuoco e l’acqua che diventano presenze costanti e vive insieme al sottofondo dei canti gregoriani.
L’accoglienza
Ho trascorso due notti all’Eremito, poco prima di Ferragosto, lontano dalle folle e dai disagi delle vacanze comandate. E ho incontrato ospiti che erano in struttura da una settimana e non alla prima esperienza. Alla reception c’è Benedetta che risponde al telefono offrendo tutte le indicazioni. Bisogna chiamare l’hotel appena usciti dal casello perché la linea telefonica inizia subito a traballare. Poi seguire la mappa dall’inizio della strada sterrata che termina in un parcheggio privato (provvisto di colonnina per la ricarica elettrica). Mancano ancora 750 mt di manto pietroso in salita per arrivare alla meta. Sta all’ospite scegliere se fare l’ultimo tratto a piedi o farsi venire a prendere, come ho preferito io, in fuoristrada.

Appena varcato il lungo corridoio in pietra illuminato da led e candele inizia l’avventura: non clienti ma ospiti di una casa gestita con le regole della comunità. Il personale viene reclutato su Workaway – un portale per studenti stranieri che cercano lavoro in cambio di vitto e alloggio – dalla direttrice e memoria storica dell’Eremito, Laura Neri. Le 18 stanze si chiamano “celluzze”, ciascuna con il nome e la storia di un santo raccontata sulla tavola di legno che fa da spalliera. La mia era dedicata alle gesta di San Bernardo.
Le regole dell’Eremito
I vani sono volutamente essenziali ma confortevoli: misurano appena 9 metri quadri, ospitano un letto alla francese (solo due hanno il formato matrimoniale), un pensatoio panoramico e un lavabo in pietra, il piccolo bagno con doccia è separato da una tenda di juta, la finestra è affacciata sulla valle oppure davanti alla fontana che si trova nel retro della struttura. Niente televisione, frigobar, telefono e wi-fi in camera. L’energia è prodotta da pannelli solari, l’acqua piovana raccolta e riutilizzata, la climatizzazione – caldo e freddo – si diffonde dai pavimenti di pietra.

Bisogna seguire, come in un vero monastero, alcune semplici regole: rispettare i momenti di silenzio, non utilizzare dispositivi elettronici negli spazi comuni, non sprecare acqua ed energia, osservare la natura senza disturbarla. Chi lo desidera può indossare una spilletta con scritto “I’m in silence, sono in silenzio”. La grande sala accanto alla reception ha un camino e volte in pietra, futon e cuscinoni rivestiti di tappezzerie marocchine, il luogo ideale per la lettura. C’è anche una piccola alcova dove isolarsi ancora di più.
Il concept

L’Eremito non è un hotel nel senso comune del termine. Non si fregia di stelle ma di una semplice definizione: “El hotelito del Alma, Il piccolo hotel dell’Anima”. L’atmosfera è quella di un rifugio monastico dove il lusso si misura in sottrazione e spazi vuoti. Non esiste l’abbondanza della scelta: si mangia quello che letteralmente “passa il convento”: non c’è un menu e una carta dei vini ma tre pasti quotidiani, la colazione a buffet e il pranzo e la cena di quattro portate accompagnati da acqua di fonte e vino rosso della casa. Un luogo che insegna a stare bene con sé stessi, a non temere il silenzio, a trasformare la solitudine in dialogo interiore. E anche a fare, se si è ben disposti, conoscenze interessanti.
La giornata-tipo
Il programma suggerito è solo indicativo. C’è libertà assoluta nella gestione del tempo. Io ho scelto di seguirlo alla lettera per vivere al meglio l’esperienza. Alle 7:30 del mattino ho meditato sull’altana dell’eremo vista valle leggendo con gli altri ospiti a turno i pensieri del giorno, poi ho praticato una sessione di yoga leggero con Benedetta e fatto colazione sotto il pergolato esterno (che è anche l’unica area con qualche traccia di linea telefonica). Nel tempo libero ho passeggiato fino al fiume e alle cascate per un bagno rigenerante.

Lungo il percorso si notano alcuni tubi interrati: sono i pali della luce che il proprietario dell’Eremito, Marcello Murzilli, ha voluto eliminare dall’orizzonte visivo della vallata per non disturbare la vista. Il pomeriggio ho usufruito della piccola Spa con idromassaggio e bagno turco e partecipato all’ultima meditazione di giornata. Il pranzo e la cena vengono annunciati da un gong e sul bancone della reception si recupera il tovagliolo personalizzato con il nome del santo corrispondente alla propria celluzza.
I pasti sono tutti vegetariani e di quattro portate (il menu è riportato ogni giorno su una lavagnetta in reception) cucinati con passione e semplicità dalla signora Elena, la cuoca storica della struttura. Le pietanze – zuppe di legumi, verdure dell’orto, pane fatto in casa, formaggi locali – sono preparate con ingredienti biologici, in parte dall’orto privato, secondo la stagionalità.
La cena in silenzio
La cena inizia tassativamente alle 19:30 nel refettorio illuminato da candele e lampade a olio. È questo un momento davvero speciale perché viene richiesto il silenzio assoluto. Quaranta minuti di raccoglimento totale, i canti gregoriani in sottofondo e pochi semplici gesti per chiedere, senza dover parlare con il personale, il refill di acqua e vino. Mangiare tacitamente insieme ad altre persone è stata per me una piacevole esperienza: ho apprezzato e in alcuni casi scoperto per la prima volta il vero sapore degli alimenti, che sia una semplice carota o una zuppa di piselli, tanti gusti genuini troppo spesso offuscati dalle distrazioni esterne e dalle parole.

Il silenzio amplifica i sapori e aiuta ad elaborare meglio il cibo. Il menu della cena: hummus con bruschetta, zuppa di cavolfiore, gateau di finocchi e torta tenerina. Le porzioni, apparentemente misurate, sono perfette e consentono di alzarsi da tavola leggeri ma sazi. C’è poi il momento delle chiacchiere piacevoli nel giardino esterno, davanti a un braciere acceso sotto il cielo stellato o nella sala comune sorseggiando il “melemito”, una tisana a base di mela, zenzero, cannella e chiodi di garofano. È l’occasione giusta per conoscere gli altri ospiti, scambiare impressioni e chiedere informazioni a chi ha trascorso più giorni nella struttura.
Il fondatore
Marcello Murzilli, romano di nascita, classe 1948, imprenditore di successo nel mondo della moda con il marchio El Charro, uno dei maggiori successi commerciali a livello europeo degli anni Ottanta, (gli stivali e le cinture modello texano erano un must dei paninari), decide di vendere tutto e cambiare vita. Viaggia per due anni in barca attraverso i cinque continenti per poi approdare in Messico, lungo la costa del Pacifico, dove crea l’albergo impossibile fatto di capanne di fango e illuminato solo da candele, l’Hotelito Desconocido tra i 5 eco-resort più belli al mondo, esperienza durata una decina d’anni.
Poi il rientro in Italia e l’arrivo in Umbria nel 2009. Murzilli resta folgorato da un rudere in pietra, antico eremo del XIV secolo, in rovina ma ancora carico di memoria. L’idea prende forma lentamente: ricostruirlo non come un albergo tradizionale ma un monastero contemporaneo. Quattro anni di lavori intensi, pietra su pietra con materiali locali e le ultime tecniche di bioedilizia rispettose dell’architettura originaria.