Il sabato sera all’Opera House di Sydney è sempre un’occasione di festa, ed era particolarmente scintillante la sera in cui io e mio marito abbiamo portato suo padre a un concerto lo scorso autunno. Il violinista Joshua Bell eseguiva Mendelssohn con l’Academy of St. Martin in the Fields, e il pubblico si è presentato in gran tiro, con gli abiti eleganti che risaltavano sulle poltrone rosa acceso della sala. Durante l’intervallo, ci siamo affacciati sulla piazza occidentale e abbiamo ammirato la vista del Central Business District, o CBD, come lo chiamano qui: il cuore di Sydney, che comprende zone popolari sul lungomare come Barangaroo, Circular Quay e The Rocks. La sorte della zona è cambiata molte volte nel corso dei decenni. Quando The Rocks furono riqualificati negli anni 60 e 70, centinaia di persone vennero sfollate dalle case popolari. Mio marito (che è di Sydney) ha ricordato che negli anni 90 e 2000 nessuno ci andava se non per lavorare. Poi la pandemia lo ha svuotato del tutto.
L’evoluzione del Central Business District
Ora il CBD sta cambiando un’altra volta. Con nuove linee di tram, un porto rivitalizzato, un museo ampliato e l’apertura di hotel e ristoranti di alto livello, il quartiere è diventato una delle aree più vivaci della città e un modello di sviluppo misto in cui il rinnovamento economico è bilanciato dall’inclusione culturale. Aperto circa un anno fa, uno dei migliori esempi è il Capella Sydney, la prima struttura del brand in Australia e il primo hotel di lusso ad aprire in centro in circa due decenni. Il Capella occupa un edificio governativo dei primi del Novecento meticolosamente restaurato: dall’elegante facciata in arenaria ornata, ha una bella scala in ferro battuto, 192 sontuose camere e una piscina rivestita in marmo. «L’hotel ha contribuito alla rinascita del CBD dando nuova vita alle strutture storiche», ha dichiarato David Tsang, amministratore delegato di Pontiac Land, la società madre del Capella. «Si trattava di edifici imponenti in cui la maggior parte delle persone non era mai entrata», mi ha detto. «L’ospitalità li rende più aperti e vivaci».
Durante il nostro soggiorno, quella vivacità era evidente. Il design è caratterizzato da un’opulenza internazionale, con elementi high-tech e opere d’arte contemporanea provenienti da tutto il mondo. Al mattino, il ristorante è un punto di riferimento per le colazioni energetiche; la sera, è pieno di coppie agghindate per la cena. Tuttavia, il vecchio scheletro dell’edificio e le numerose opere di artisti australiani e aborigeni conferiscono all’hotel un senso del luogo. Un tocco di classe è il servizio del tè, dove tutti i giorni gli ospiti possono ascoltare le storie delle figure aborigene locali.
La celebrazione del patrimonio culturale e della diversità è parte integrante del rilancio del CBD. Visito Sydney regolarmente da decenni ma non ho mai visto una così diffusa presa di coscienza pubblica del passato indigeno della città. È ormai riconosciuto quasi da tutti come il CBD sorga sull’antica terra del popolo costiero dei Gadigal. La cultura aborigena è esposta nelle gallerie, nei parchi pubblici, in televisione e nei menu.
Gli indirizzi del gusto
Prima del concerto, abbiamo cenato al Midden, il ristorante di punta del teatro dell’opera creato da Mark Olive, uno dei più celebri chef aborigeni d’Australia. Il menu, che mette in risalto gli ingredienti autoctoni, mi ha fatto conoscere sapori che non avevo mai assaggiato, come il bush tomato, sia frullato in un gazpacho, sia brasato con lo stinco di wallaby, il piccolo marsupiale locale. È stato difficile prenotare un tavolo al Midden, come in altri ristoranti della zona. Il fatto che il CBD sia ora un luogo da vedere e dove farsi vedere è un netto cambiamento rispetto a diversi anni fa, quando il sabato sera era in gran parte una città fantasma. Gli appassionati di gastronomia in cerca di novità, che altrimenti andrebbero nei sobborghi di Bronte o Surry Hills, affollano i locali del centro come Ragazzi, una piccola trattoria nota per la pasta fatta a mano e il vino prodotto in Australia con varietà italiane.

O il Bar Totti’s, sempre affollato di festaioli che sgranocchiano antipasti; il Clam Bar, con il suo menu “ritorno al passato”, con ostriche alla Rockfeller e tre tipi di caviale; e Le Foote, una nuova brasserie che sembra esistere da un secolo e che serve piatti cotti a legna come il barramundi arrosto e il cavolo alla brace. Ho chiesto a Justin Hemmes, proprietario del Bar Totti’s e di oltre 30 altri locali in zona, cosa stesse alimentando la rinascita. Ha indicato le nuove linee L2 e L3 della rete di metropolitana leggera, che collegano il CBD al resto di Sydney, e la crescita dei ristoranti con tavoli all’aperto durante la pandemia. «Hanno creato un’atmosfera vivace e movimentata, con un numero di persone che non ho mai visto negli ultimi vent’anni», mi ha spiegato.

L’ho visto di persona in una serata del fine settimana da Jimmy’s Falafel, un locale in George Street con un’atmosfera cool da casbah anni 70 e DJ dal vivo. I tavoli giravano velocemente, con commensali di tutte le età intenti a gustare superbi piatti mediorientali. Sono rimasto colpito da quanto tutti sembrassero rilassati e felici. Sydney è una città splendida, con cento spiagge e un’attitudine informale, ben evidente in quartieri come Bondi Beach. È stato piacevole vedere un’area precedentemente dominata da uffici iniziare a sviluppare un sapore australiano tutto suo: rilassato, ma anche curato e sofisticato. E percorribile a piedi. A differenza di gran parte di Sydney, che è sparpagliata e richiede l’uso dell’auto, il CBD è unito da nuove piazze e spazi verdi. Si può trascorrere un pomeriggio molto piacevole esplorando il lungomare a piedi, partendo da Darling Harbour, su cui si affaccia il nuovo W Sydney a forma di onda, dirigendosi a nord verso Barangaroo, magari fermandosi per una cotoletta alla milanese da a’Mare, all’interno dell’hotel Crown Sydney.
Naala Badu, il nuovo volto dell’Art Gallery

Proseguendo verso est si superano Circular Quay e l’Opera House, fino a raggiungere i Giardini Botanici e l’Art Gallery of New South Wales, il principale museo d’arte della città. Nel 2022 l’Art Gallery ha inaugurato una moderna struttura in vetro a più livelli progettata dallo studio SANAA di Tokyo, insieme a un parco artistico realizzato dall’architetto paesaggista Kathryn Gustafson. Ad aprile il museo ha annunciato che l’ampliamento si chiamerà Naala Badu, che significa “vedere le acque” nella lingua del popolo Dharug, originario dell’attuale Sydney. Si tratta dell’aggiunta più significativa alla vita artistica cittadina da molti anni a questa parte, che raddoppia quasi lo spazio espositivo del museo. L’obiettivo principale è quello di mettere in primo piano le opere di artisti aborigeni e delle donne. La galleria originale, che occupa un edificio in pietra arenaria del XIX secolo, relegava le opere aborigene al livello più basso e il grosso della collezione era composta da opere di uomini bianchi. Ora, la maggior parte delle nuove commissioni sono di artiste donne e la collezione aborigena, in continua evoluzione, è intessuta in diverse esposizioni.
Durante la mia visita, ho ammirato le opere dell’artista aborigeno contemporaneo Tony Albert accanto a una tela di Ed Ruscha: una stimolante ridefinizione del canone dell’arte moderna. Ho scoperto molti artisti che non conoscevo e mi hanno fatto vedere quelli che conoscevo sotto una luce diversa. È stata una rivelazione. «Quando ero ragazzo, pensavamo di essere un Paese giovane, scoperto da Capitan Cook», mi ha detto il dottor Michael Brand, direttore del museo. «In realtà, abbiamo quest’altra storia».