«I Minoici qui producevano il vino nel XX secolo a.C.», ha detto Ergin Ince, la guida che uno dei miei hotel, il Six Senses Kaplankaya, mi aveva procurato per un tour delle antiche città di Priene, Melito e Didyma. «Ma lo mescolavano con miele e acqua perché era aspro». Ero arrivata al resort dopo aver esplorato per diversi giorni la costa egea della Turchia, dove avevo visto esposti nei musei archeologici molti vasi di argilla utilizzati dai minoici per trasportare il vino. In quest’area si produce ancora più della metà del vino del Paese ed è di gran lunga migliore di quello che doveva essere 4mila anni fa. Avevo programmato di esplorare la zona intorno a Izmir, per poi dirigermi due ore a sud verso Bodrum. Per un tour di più giorni verso siti come Hierapolis ed Efeso, ho prenotato delle soste nelle sale di degustazione, dove ho potuto sorseggiare il frutto delle viti che crescevano intorno a me, spesso insieme a un ottimo pasto.
Giorno 1
La prima tappa è stata la tenuta di Isabey. Dal 1925 al 2004 Tekel, un’azienda statale, ha dominato la produzione di vino in Turchia. Tra le poche aziende vinicole in grado di competere c’era Sevilen, fondata nel 1942 dall’immigrato bulgaro Isa Guner. Isabey, appezzamento di Sauvignon Blanc, si trova vicino al Mar Egeo, dove la brezza salmastra aiuta l’uva a sviluppare un’acidità da leccarsi i baffi. Il ristorante della cantina era chiuso di lunedì, ma mi sono accontentata di assaggiare alcuni degli oltre 30 vini, tra cui il Nativus, un rosso non invecchiato in botte con decise note fruttate di amarena e tannini che ricordano quelli del caffè, prodotto con uve Kalecik Karası.
A un’ora da lì nell’entroterra, mi sono fermata per il pranzo alla Nif Winery, dove i tavoli all’aperto offrono una vista sulle montagne, tra cui Bozdağ, una vetta associata alla mitologia greca. Gustando uno Shiraz dalle note di cioccolato e fichi e un’entrecôte, mi sono sentita come un moderno Dioniso. Poi mi sono recata a Kula–Salihli, nota per i suoi “camini delle fate”, torri di basalto che si innalzano per più di 120 metri. Nelle vicinanze si trova l’antica Katakekaumene, un paesaggio desolato formato da un vulcano (ora dormiente), dove ho camminato nel caldo per due ore. Sfinita per il giro a piedi, sono arrivata al Villa Estet by Anemon, dove la mia camera aveva un moderno letto a baldacchino e una terrazza con vista su un’azienda vinicola, Yanik Ülke. Ho concluso la giornata con salmone arrosto, una rinfrescante insalata di anguria e un bicchiere di Gewurtztraminer sulla veranda del ristorante della cantina. Potrebbe sembrare sorprendente che quest’uva da clima freddo possa prosperare in questa regione, ma il vigneto si trova a circa 850 metri su un pendio vulcanico, dove le notti fredde aiutano a sviluppare lentamente aromi complessi.

Giorno 2
Il mattino seguente, ho guidato due ore a sud fino a Hierapolis, meta di benessere fin dal II secolo a.C. Le sorgenti che sgorgano sul fianco delle terrazze di travertino attraggono ancora i turchi, anche se le terme dove un tempo si rilassavano i conquistatori romani sono oggi un sito archeologico. Un’ora a nord dell’antica città termale, ho notato una grande anfora romana da Küp Şarapçılık, un’azienda vinicola che prende il nome dai recipienti usati un tempo per conservare e trasportare il vino. Il proprietario Hasan Altıntaş, terza generazione in azienda, ha intenzione di costruirvi un museo dedicato. È anche un uomo impregnato di spirito comunitario. Una delle sue etichette, Beş’i Bir Yerde, o “Cinque in uno”, sostiene l’istruzione femminile e progetti contro la violenza domestica. Il blend di tre uve autoctone – Sultaniye, Narince ed Emir – e Chardonnay e Sauvignon Blanc ha note agrumate e mentolate. Durante la mia breve permanenza nella città di Denizli, ho cenato al ristorante Garson Şükrü. L’hummus con pastrami fritto, le verdure fresche da intingere nelle salsine e la lingua di vitello con salsa piccante di limone e capperi si sono abbinati perfettamente a un Sauvignon Blanc locale di Thia.
Giorno 3
Con l’arrivo del nuovo giorno, ho proseguito a ovest verso la costa, arrivando a Şirince in tempo per il pranzo. Seduta sul minuscolo balcone del wine bar Hera Sarapevi, con vista su minareti e vecchie case, ho assaporato salumi e formaggi accompagnati da vini turchi unici. Tra questi, il Kastro Tireli Elaia, un rosé con note di lampone, salinità e fumo; il Midin Baluto, da uve Karkuş coltivate su viti di 150 anni; e il Mor Salkım Passito, un raro vino dolce ottenuto da uve Cabernet Sauvignon appassite al sole. Şirince è vicina a Efeso: importante metropoli dall’antica Grecia fino all’epoca bizantina, oggi è una mecca turistica piena di antichità. È valsa la pena di affrontare le folle di crocieristi in gita per ammirare le rovine a più piani della terza biblioteca più grande del mondo antico. Poi mi sono ritirata all’azienda vinicola e hotel Yedi Bilgeler per cenare al ristorante Maya’dan che, probabilmente, serve le melanzane arrostite più buone della Turchia. I vini erano altrettanto notevoli: Vindemia Defne, ottenuto da uve autoctone Emir; Vindemia Güz, da Bornova Misketi – un’antica varietà di moscato forse portata su queste coste dai Fenici – e Thales Miletos, un blend di Boğazkere e Öküzgözü, che ricorda il melograno.

Giorno 4
L’indomani mi sono fermata alla Lucien Arkas Vineyards, fondata all’inizio degli anni Duemila e chiamata così in onore del suo fondatore, un magnate delle spedizioni. Con 117 ettari, è il più grande produttore biologico della Turchia. Una Mini Cooper era parcheggiata all’interno della sala di degustazione e antiche statue romane punteggiavano la terrazza. Ho pranzato con un’eccellente Wiener Schnitzel, ironicamente, assaporando un blend di Sauvignon Blanc e Trebbiano dalle note di pesca, chiamato Smyrna, seguito dal vino preferito del sommelier, il cupo e corposo Mon Rêve Marselan, prodotto con uve provenienti dalla regione d’origine della famiglia Arkas, il sud della Francia. La mia cantina preferita, che alla fine è stata la mia ultima tappa, si trovava a nord, a Urla, appena fuori Izmir. Usca produce solo 45mila bottiglie all’anno, meno del 3% della produzione di Lucien Arkas. Soffermandomi su un bicchiere di Usca Sonnet 76, un blend strutturato di Cabernet–Merlot con note di mora e cioccolato fondente, mi sembrava di essere in California. Ma ero in Turchia, con i suoi ricchi strati di storia, e c’erano anfiteatri e templi di Apollo e Artemide da visitare – e altri vini da bere – nella settimana a venire.