Ero seduta a gambe incrociate su un cuscino rosso con le guance rigate di lacrime. Il sole del pomeriggio filtrava dalle grandi finestre, riscaldandomi il lato destro del corpo. Il petto si alzava e abbassava con il dolore sordo di un cuore spezzato. «Questo significa soffrire», ho pensato. Il mio matrimonio con un uomo che amavo profondamente era finito dopo dieci anni, e io ero venuta allo Spirit Rock Meditation Center, sulle colline appartate della contea di Marin, a nord di San Francisco, per cercare di ritrovare un equilibrio interiore. Guidato dallo scrittore e insegnante di meditazione Oren Jay Sofer, questo ritiro del silenzio di sette giorni si concentrava sulle quattro brahmavihāra, le virtù buddhiste: gentilezza, empatia, gioia condivisa ed equanimità.
Sono arrivata un sabato pomeriggio d’autunno. Dopo aver fatto il check-in, mi è stata assegnata una sistemazione in una camera spartana, dove ho conosciuto la mia compagna di stanza, una trentenne californiana. Ci siamo scambiate le nostre storie mentre preparavamo i letti singoli con lenzuola bianche e trapunte azzurre. Anche lei stava attraversando una difficile separazione. Abbiamo raggiunto la sala di meditazione principale, dove Sofer ha tenuto una cerimonia di benvenuto, ha presentato gli insegnanti e ci ha invitato a consegnare i telefoni. Il gruppo era composto da circa 75 persone, in gran parte americane come me. Gli insegnanti si sono alternati a illustrarci il programma della settimana. Ogni giorno prevedeva sessioni di meditazione, passeggiate in silenzio, pasti in comune, il disbrigo di lavori domestici e insegnamenti buddhisti.
Un ritiro nella quiete della California
Abbiamo anche fatto voto di ‘nobile silenzio’, accettando di non parlare con nessuno se non con gli insegnanti. L’obiettivo era di placare la mente e sviluppare l’empatia per noi stessi e per gli altri. Dopo una cena leggera e una breve sessione di meditazione, abbiamo trascorso il resto della serata a sistemarci. Verso le dieci mi sono infilata nel letto e mi sono addormentata. La mattina dopo il gong ha suonato alle 6 in punto. Io e la mia compagna di stanza ci siamo lavate i denti a turno nel piccolo lavabo. Quando sono uscita per raggiungere la sala di meditazione, l’aria fresca mi ha svegliato di colpo. Sulla cresta del pendio, sotto un cielo d’inchiostro, ho ammirato con stupore la Stella Polare che brillava come un diamante solitario.
Dopo una breve sessione simile al Tai-Chi, incentrata sul respiro e sul movimento, ho saltato la colazione per fare un’escursione lungo il Madrone Path, uno dei sei sentieri che attraversano il campus di 167 ettari. Tra la folta vegetazione di foglie rosse mi sono imbattuta in una statua bianca del Buddha costellata di offerte – pigne, piume, biglietti e rosari. Proseguendo nella passeggiata ho trovato due piccoli santuari del Buddha nascosti come indizi di una caccia al tesoro, uno in un tronco d’albero e uno in un boschetto di erba della pampa. Ognuno mi ha sprigionato una scintilla di gioia. Le sessioni giornaliere di meditazione erano esperienze eterogenee.
Silenzio, natura e rituali quotidiani
A volte la mia mente passava ininterrottamente da un pensiero all’altro, come quella di un bambino piccolo: ripassava la lista delle cose da fare nella mia vita, avvertiva il dolore alla schiena e alle ginocchia, contava i minuti che mancavano all’ora della merenda. In altri momenti mi sentivo sopraffatta dalla tristezza. Mi sono impegnata a stare lì, ferma nel mio dolore, e a non giudicarmi per questo. Ma c’erano anche momenti di serenità in cui riuscivo a placare i miei pensieri e a provare un senso di calma, cavalcando il mio respiro come un’onda. Se mi distraevo, mi concentravo nuovamente sul respiro per evitare spirali ossessive di proiezioni, giudizi e paure. Più mi distaccavo dalle narrazioni che mi affollavano la mente, maggiore era la pace che riuscivo a trovare. Era un lusso poter passare in silenzio così tanto tempo. I pasti nella sala da pranzo, in confronto, erano una festa per i sensi.
Ci muovevamo silenziosamente in fila indiana per riempirci i piatti con pietanze vegetariane come curry alla citronella, zuppa di scarole, zucca arrostita, insalata di cetrioli schiacciati e chowder di mais e cocco. Prima di mangiare, ringraziavo in silenzio i miei compagni che avevano aiutato a lavare, sbucciare e tagliare gli ingredienti. Stavamo seduti in silenzio, uno accanto all’altro, concentrati sui gesti primordiali di annusare, assaggiare e masticare. La sera un insegnante buddhista teneva un discorso di 45 minuti su una delle brahmavihārā, seguito da una camminata in meditazione e da una sessione di canti. Seguire sempre la stessa routine creava una cadenza quotidiana felicemente libera dal dover prendere decisioni. Con il passare dei giorni, la routine mi ha anche aiutato a ritrovare un senso di equilibrio, e la mia mente ha cominciato a calmarsi come un lago dopo una tempesta, con i detriti che vanno a depositarsi sul fondo. Seduta in silenzio insieme agli altri, mi sentivo meno sola ad affrontare sentimenti di perdita, dolore e tristezza.
Il paesaggio come specchio interiore
La presenza dell’uomo con i capelli bianchi davanti a me, seduto immobile a gambe incrociate a ogni sessione di meditazione, mi dava forza. Trovavo conforto nella saggezza degli insegnamenti, in particolare nell’adagio secondo cui ogni vita contiene 10mila gioie e 10mila dolori. La mattina dell’ultimo giorno sono partita nel buio dell’alba per percorrere il Great Loop Trail di 4 chilometri e mezzo, guidata dalla luce della mia torcia frontale. È stata una faticosa camminata in salita. Dopo aver ansimato per 40 minuti, sono arrivata al di sopra della linea degli alberi e ho potuto vedere la città di Mill Valley sotto una coltre di nebbia. Ho osservato il paesaggio di creste frastagliate e foreste di sequoie, le curve delle nuvole e il sole dorato che sorgeva dietro una vetta. Avevo ancora il cuore gonfio e provavo ancora il dolore intenso di un amore perduto. Ma dopo sette giorni di silenzio e meditazione avevo imparato che i miei sentimenti non erano roba da seppellire o superare. Al contrario, erano qualcosa che potevo accogliere, sapendo che nulla dura per sempre – né il matrimonio, né la tristezza, né il dolore.