Il più bel film sulla Capitale mai girato è, per me, Roma di Federico Fellini: proprio lì Gore Vidal appare nei panni di sé stesso definendola “la città delle tre illusioni” tra Chiesa, Governo e cinema. Quest’ultimo, nel corso del Novecento, ha contribuito a definirne l’immagine pubblica accendendo un mito capace di attraversare i confini nazionali. Ha generato codici, atmosfere, voci e volti che ancora risuonano nella memoria collettiva. Sophia Loren, Monica Vitti, Marcello Mastroianni, Anna Magnani: star che hanno incarnato una Roma contraddittoria e magnetica. Da Vacanze Romane (1953) con la giovanissima Audrey Hepburn, che ha inaugurato la stagione del turismo cinematografico fino a Conversation Piece (1974) di Luchino Visconti.
Ma è stata La Dolce Vita, nel 1960, a segnare una svolta. Il capolavoro di Fellini, presentato in concomitanza con le Olimpiadi romane, ottenne un successo internazionale senza precedenti. Vinse premi, suscitò polemiche, generò imitazioni, palesandosi come costruzione simbolica di una Roma squisitamente asincronica, irreale e sensuale. Il film trasformò per sempre la percezione della città: il modo in cui, da allora, verrà narrata e desiderata. Ecco perché, per la Capitale e per il cinema italiano, esistono un prima e un dopo Fellini.

La Grande Bellezza
La Roma del Novecento ha ereditato una bellezza millenaria e l’ha trasformata in un laboratorio di linguaggi — non solo cinematografici. Archeologia, Rinascimento, Barocco convivono con sperimentazioni architettoniche e urbanistiche che cercano nuove forme di monumentalità. Sono nati così spazi dove la geometria si fa Metafisica e le prospettive sembrano disegnate da Giorgio de Chirico. Nel 2013 — mentre La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino vinceva l’Oscar al Miglior film internazionale — in via di Monte d’Oro, ha aperto un albergo che riflette le avanguardie artistiche del secolo scorso. La ricerca di una sede per il J.K. Place Roma (parte della collezione The Leading Hotels of the World) è durata otto anni. Ori Kafri — fondatore del gruppo alberghiero, di cui fanno parte anche il J.K. Paris e il J.K. Capri — ed Eduardo Safdie, sviluppatore immobiliare, hanno scelto una residenza del Seicento, parte di Palazzo Borghese, per dare forma al progetto. Il ristorante al piano terra, con il suo gioco di specchi, modanature bianche, verde smeraldo e blu, richiama la Roma barocca dei palazzi patrizi e delle cerimonie ecclesiastiche. Il giallo topazio, inserto couture anni ’50, evoca gli atelier dell’epoca d’oro del cinema.
La Dolce Vita
La posizione del J.K. Place Roma è riservata, quasi nascosta, come se l’edificio volesse proteggersi dal passaggio delle folle. All’interno, Michele Bönan, interior designer fiorentino, ha tradotto la dolce vita romana degli anni ’50 e ’60 in una grammatica contemporanea che sintetizza i molteplici volti della città eterna. L’architettura dialoga con la classicità e con il razionalismo, mescolando riferimenti storici e tensioni moderniste. La hall centrale, pensata come un soggiorno, rimanda alla Roma antica e al primo Rinascimento, con una pulizia formale che si esprime attraverso simmetrie e proporzioni rigorose. Statue classiche, un camino del XVII secolo, lampade a sospensione di Estro, sedie in tessuto beige Dedar e opere d’arte moderna folgorano lo sguardo, divertendo e perturbando chi osserva. Proprio come l’iconica pellicola di Fellini.

Vacanze Romane al J.K. Place Roma
La lounge dell’albergo si articola in una sequenza di ambienti, definiti da materiali e colori che riflettono la Roma scintillante del boom economico e dei paparazzi. Una parete in onice retroilluminata accompagna il bancone in marmo retrò, mentre l’alcova rivestita in rosone smaltato ospita fotografie di case al mare degli anni ‘70 firmate Gwathmey Siegel. Panche color crema e tavoli in ottone completano l’arredo, con una disposizione che privilegia la simmetria e la luce.
Nel JKCafé Bar, le pareti giallo limone incorniciano divani in velluto blu royal con profili bianchi, accostati a poltrone in pelle cremisi a schienale basso. I controsoffitti bianchi incassati ospitano lampade Sputnik originali degli anni ‘60, mentre il bancone del bar introduce un elemento scenografico che richiama l’estetica degli anni ‘50. Il velluto ritorna nell’ascensore, trasformato in salotto, con una panca a L proveniente da un jet della Maison Dior, incastonata in una cabina di specchi. Alcune delle 27 camere e suite sono impreziosite da baldacchini, altre si aprono su geometrie più raccolte. Tutte espongono le fotografie architettoniche di Massimo Listri a scandire le pareti.

Ciak, si gira
All’arrivo, nessuna richiesta di carta di credito, nessun obbligo. Solo una promessa implicita: sentirsi a casa. In camera, si trovano regali firmati Bottega Veneta, frutta fresca, taralli, tartufi al cacao, nocciole pralinate. E prima di dormire, altre attenzioni: calze di lana, cioccolatini assortiti, cappellini personalizzati con iconografie romane. Una regia invisibile orchestra l’esperienza di ospitalità, pensata per far sentire ogni ospite protagonista di un film.
Ora, tra l’ombra dei vicoli e la stratificazione dei secoli, Roma si prepara a una nuova prima: l’apertura di Casa J.K. Place Roma, prevista entro fine anno. Il progetto prevede quindici appartamenti all’interno di un edificio del XVII secolo in via dei Prefetti, firmati ancora una volta da Michele Bönan. Per adesso, sappiamo che ciascuna residenza sarà dotata di butler dedicato e concierge privato. Le aree comuni includeranno un ristorante, una lounge riservata e una palestra di ultima generazione. Casa J.K. Place mira a essere un’estensione discreta dell’esperienza sartoriale dell’hotel: un boutique residence per chi desidera abitare Roma, senza rinunciare ai servizi di un hotel di alto profilo.