Ci sono città che si attraversano. E poi c’è Londra, che si scopre come un segreto bisbigliato. È immensa, frenetica, ma se abbassi il volume del turismo da cartolina e segui una traiettoria più intima, ti accorgi che può anche parlarti attraverso le pagine di una libreria silenziosa o un caffè fumante all’interno di una bakery mentre fuori piove. Una metropoli nervosa e gentile, dove puoi sentirti anonimo e protagonista nello stesso momento.
Non c’era un itinerario. Solo un volo preso all’ultimo minuto e un piccolo bagaglio a mano con dentro un libro iniziato a metà. Ho avuto 72 ore, ma con Londra è così: non importa quanto tempo hai, lei te lo riempie. Non ho cercato monumenti. Ho seguito le piccole cose che, a ripensarci, sono tutto. E così la capitale inglese ha cominciato a parlarmi, ma con voce bassa. Ecco il mio itinerario, con qualche consiglio per chi cerca angoli nascosti, letterari, golosi e un po’ malinconici.
Arrivo a Londra: Southfield e la bakery che sa di casa
Sono arrivata di giovedì pomeriggio senza una lista di “cose da vedere”. L’intenzione non era spuntare monumenti. Il mio primo rifugio è DropShot Coffee, nel cuore tranquillo di Southfields. È una scelta spontanea, ma si rivela subito perfetta. L’ambiente è luminoso e raccolto, con tavoli in legno naturale, sedie che scricchiolano piano quando qualcuno si alza, e sgabelli in metallo che risplendono con un tocco di eleganza industriale.
Sopra di me, un lucernario sul tetto lascia filtrare la luce naturale, disegnando geometrie leggere sui volti, sui taccuini aperti, sulle tazze ancora fumanti. Intorno, persone che lavorano concentrate con cuffie nelle orecchie e dita che scorrono veloci sulle tastiere. Nessuno ha fretta. Mi siedo mentre fuori Southfields, un po’ distante dal centro, si svela con un ritmo tutto suo – meno caotico, meno turistico. La città inizia qui, nel gesto semplice di chi ti serve un caffè ricordando il tuo nome. Finalmente, ecco la Londra che cercavo.
Giorno 1: dal fascino di Daunt Books al mood romantico di Notting Hill
Il cuore mi ha portata a Daunt Books, a Marylebone High Street. Libreria da viaggiatori per viaggiatori, scaffali in legno scuro e finestre a soffitto che diffondono una luce teatrale. I libri sono ordinati per paese, non per autore. A ogni titolo corrisponde un luogo: non è solo vendita, è cartografia emotiva. Ho camminato lì dentro come se stessi attraversando continenti, mentre fuori la pioggia batteva lenta sulle superfici vetrate. Le mani sfioravano copertine, le dita leggevano titoli. Il mondo fuori era Londra, ma dentro era ovunque. Esco con un W.G. Sebald e una Moleskine. Nel tardo pomeriggio, mi sposto verso Notting Hill. La pioggia ha lasciato una lucentezza gentile sui marciapiedi e le case pastello sembrano ancora più leggere, quasi sospese. Camminare qui è come attraversare una pellicola: i portoni azzurri, le finestre a bovindo, i balconcini in ferro battuto: tutto sembra trattenere una bellezza disinvolta, mai ostentata.

Mi fermo davanti a una libreria piccola e stretta: l’insegna blu notte è incastonata in una facciata di mattoni colore terra. Situata al civico 13 di Blenheim Crescent, la celebre Notting Hill Bookshop è divenuta un’icona grazie al film Notting Hill con Julia Roberts e Hugh Grant, che l’ha resa simbolo di romanticismo e autenticità.
E lo ammetto: parte di me si aspettava di trovare un libraio imbranato, con ciuffo ribelle e camicia stropicciata, pronto a consigliarmi un libro tra un sorriso e una gaffe. E invece no. Dentro, nessun Hugh Grant. Ma va bene così. Ci sono scaffali curati, una selezione editoriale raffinata e quella calma accogliente che solo le librerie più raccolte sanno dare. Anche se la quella originale del film era ispirata a un’altra realtà poco distante (The Travel Bookshop, chiusa nel 2011), l’attuale Notting Hill Bookshop ne ha ereditato il fascino e lo spirito, diventando tappa imprescindibile per romantici, appassionati di libri e cinefili.

Lì dentro non c’è niente di straordinario, e proprio per questo c’è tutto. Fuori l’aria è abbastanza fresca, comincia a piovere più forte. Proseguo a piedi fino a una bakery poco lontana, una tappa che non avevo previsto ma che si rivela dolcissima: Notting Hill Bakery. La vetrina profuma di burro e zucchero e, all’interno, si respira quella cura artigianale che non si improvvisa. Osservo lo scaffale dei pani dalla crosta croccante. Ordino una torta alle noci con confettura di arancia e un cappuccino. Dentro c’è silenzio e, per un attimo, si dimentica di correre.
Giorno 2: Wimbledon Farmers’ Market, caffè e un angolo giapponese
Tra le tappe da vera londinese, non può mancare un mercato del sabato mattina. Ho scelto il Wimbledon Farmers’ Market, aperto dalle 9 alle 13. Piccoli produttori locali vendono prodotti freschi e stagionali: ortaggi croccanti, dolci fatti in casa, salumi, formaggi e pani fragranti che profumano l’aria. E tra una scoperta e l’altra, ovviamente, incontro anche qualche volto italiano. Come Stefano, con la sua irresistibile porchetta “made in Italy”.
Lo so, alle 10 del mattino può sembrare una scelta azzardata ma a Londra, dove ogni cucina trova spazio e tempo, anche un panino con la porchetta a colazione ha il suo perché. Poco più avanti, trovo un altro banco italiano: cibo pronto da portare a casa, preparato con amore e tanta autenticità. Tiramisù, parmigiana, lasagna: piatti iconici raccontati da Marta, una ragazza di Milano arrivata a Londra 12 anni fa e, con i suoi genitori, ha iniziato questa avventura tra i mercati, proponendo le ricette di casa.

È ancora presto. Prendo i mezzi pubblici e mi dirigo a Covent Garden. Arrivare a Covent Garden è come spalancare una porta e ritrovarsi in una scena già in movimento. È il teatro a cielo aperto di Londra, dove tutto accade contemporaneamente: voci, risate, musica, applausi. Colazione da Monmouth Coffee. Caffè filtrato servito senza fretta, pane tostato con burro salato e marmellata d’arance amare. I tavolini condivisi creano quell’intimità discreta tra sconosciuti che solo le grandi città sanno regalare. Tra una passeggiata e l’altra, una sosta da Bird & Blend Tea Co., piccolo paradiso per amanti del tè: miscele creative, profumi intensi. Incontro Val, che sa consigliarti il tè giusto come fosse un abito su misura. Un’altra tazza? Un piccolo piacere da intenditori è Whittard of Chelsea (1886): tè, cioccolata calda, infusi e una selezione di porcellane da sogno.

Sempre a Covent Garden, c’è un piccolo angolo inondato da aromi di burro, vaniglia e zucchero caramellato: Aroma. Graziosa e accogliente, con vetrine sempre piene di dolci perfettamente disposti, è una bakery che sembra uscita da una favola urbana. Ma la vera star è lui: l’honey butter toast. Un quadrato dorato di pane -spesso caramellato all’esterno e morbido dentro – servito con una colata generosa di miele e burro fuso. È un abbraccio caldo e dolce, di quelli che sanno confortarti anche nelle giornate più grigie. Poi un salto da Stanfords, storica libreria dedicata ai viaggi.
È come mettere piede su una mappa ancora da esplorare. Fondata nel 1853, è un santuario per sognatori curiosi del mondo. Le pareti sono tappezzate di carte geografiche, globi, atlanti e guide di ogni tipo. Ogni scaffale sembra dirti: “E tu, dove vuoi andare?”. Un posto che ti fa venir voglia di partire di nuovo, anche se sei appena arrivata. Caffetteria e sala da tè ovviamente annesse. Nel pomeriggio cercavo silenzio, e l’ho trovato alla Japan House London, in Kensington High Street. Un’oasi di essenzialità e armonia: oggetti di design, carta che profuma d’inchiostro, e una selezione di tè verdi da annusare lentamente, come si fa con le scelte importanti. Qui si può anche provare l’ottima cucina del ristorante Akira. Tutto è preparato a vista.
Giorno 3: prima che Londra mi lasci
La domenica ha avuto il sapore dei saluti lenti. Ho fatto un ultimo giro in centro, attraversando Piccadilly per raggiungere Hatchards, la libreria più antica di Londra fondata nel 1797. Le pareti odorano di storia e se hai fortuna, trovi un commesso che ti parla di Dickens come se fosse suo zio. Nel pomeriggio, una sosta che è stata molto più di una pausa: Assouline Maison, in Piccadilly. Un caffè all’interno della nota casa editrice di libri d’arte e design, dove ogni tavolo è circondato da volumi raffinati, fotografie a grande formato, e un’atmosfera che ricorda Parigi. Ho ordinato un espresso e mi sono lasciata avvolgere dal silenzio elegante, osservando le persone immergersi tra le pagine dei libri come se fossero oggetti sacri.

A pochi passi, ho scoperto un’altra meraviglia: Chestnut Bakery. Un piccolo paradiso del burro e del lievito, dove i croissant sfogliano da soli, il pane ha croste croccanti e cuori soffici e il profumo ti raggiunge ancora prima di entrare. A fine giornata, ho passeggiato a Cecil Court, la “via dei libri”, una stradina nascosta a due passi da Leicester Square. Piccole librerie antiquarie custodi di mappe, incisioni, edizioni introvabili. È un salto nel tempo, e chi ama leggere e collezionare si sentirà immediatamente a casa.
Tra le vetrine, si nasconde un gioiello per melomani e collezionisti: Travis & Emery. Questa libreria specializzata vende libri ed edizioni musicali fuori catalogo, usati e antiquari, creando un piccolo tempio per chi ama la musica classica, l’opera e il teatro. La vetrina è già un concerto visivo: Maria Callas, Maria Malibran, The Callas Legacy, e Divas in Their Own Words convivono con spartiti storici come Il Barbiere di Siviglia o La Favorite di Donizetti, stampati su copertine color rubino o marmorizzate, dal sapore antico e autentico.

Passeggiando per il quartiere, mi imbatto in Mark Sullivan & Son, un piccolo scrigno di antiquariato e oggetti decorativi: busti in gesso, porcellane, candelabri, statuine vittoriane, cornici d’epoca. Ma a colpirmi non è solo la bellezza degli oggetti. Dietro il bancone, assorto tra l’inventario e il silenzio, c’è un uomo che sembra uscito da un romanzo. La giacca in velluto scuro, l’eleganza innata, lo sguardo distaccato ma curioso: in un attimo mi viene in mente Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, protagonista de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. C’è in lui qualcosa di malinconico, aristocratico e fuori dal tempo, come il negozio che lo circonda. Non compro nulla, ma saluto ed esco arricchita da quell’incontro. In fondo, anche questo è viaggio: riconoscere un personaggio letterario nella realtà di una Londra che sorprende nei dettagli.

E per concludere la giornata in bellezza, non poteva mancare una visita da Fortnum & Mason. Iconico, sontuoso, immancabile per chi ama il tè. Camminare tra le sue sale è come sfogliare un libro illustrato sull’eleganza britannica: scatole color pastello, porcellane raffinate, miscele esclusive. Ho acquistato una confezione di tè al bergamotto e rosa, solo per il piacere di aprirla a casa e sentirmi ancora un po’ a Londra.
Alla fine del mio viaggio, non ho visto Buckingham Palace, non ho preso nemmeno una volta la ruota panoramica. Ma ho raccolto piccoli frammenti: l’odore dei libri vecchi, il sapore di un caffè caldo filtrato, la luce che si insinua tra le case di mattoni. Resta quella sensazione unica che solo Londra sa dare: essere ovunque e sentirsi a casa. “When a man is tired of London, he is tired of life”, scriveva Samuel Johnson. Io non sono stanca. Ma già nostalgica.