Hong Kong: oltre lo spazio e il tempo

Hong Kong: oltre lo spazio e il tempo

Ci sono luoghi (ed emozioni) che restano dentro, anche a distanza di tanti anni e migliaia di chilometri.
La baia di Hong Kong illuminata dallo show di luci Symphony of Lights

Le luci dei grattacieli che illuminano la baia, i colori vividi degli schermi LED riflessi sull’acqua, la brezza umida del Mar Cinese, il vociare confuso delle persone che passeggiano sul lungomare di Tsim Sha Tsui. Sono le dieci di sera, i ritmi ora sono rallentati e non resta che godersi la quiete. Davanti a questa scena – un fermo immagine che ho conservato impresso nella mente oltre lo spazio (9mila chilometri di distanza da casa) e il tempo (erano 11 anni che non tornavo nel “Porto Profumato”) – penso che a Hong Kong non sia cambiato niente.

Sono passati un handover (quel 1° luglio 1997 in cui la città-stato tornò alla Cina), una pandemia, proteste di piazza e dure repressioni del dissenso, ma il fascino che questo posto riesce a sfoderare di notte resiste indomito. Guardo l’orologio: si è fatto tardi ma non riesco a staccarmi da questo panorama. A Roma è pieno giorno, qui invece il buio si sta facendo sempre più fitto e il sonno è lontano; mi concedo ancora qualche passo sulla promenade che affaccia sul Victoria Harbour, fino ad arrivare alla statua di Bruce Lee, una meta di pellegrinaggio per gli hongkonghesi. Ci torno per l’ennesima volta e poi rientro in hotel.

Nella maestosa lobby del Regent Hong Kong – fresco di restyling, su progetto dell’architetto Chi Wing Lo che ha saputo creare un perfetto mix tra artigianato tradizionale e lighting design – c’è un’orchestra che suona una suadente musica dal vivo. I miei sensi per un attimo vanno in tilt, ma sull’udito prevale la vista e lo sguardo tira dritto verso la gigantesca vetrata a tutta altezza che guarda l’isola di Hong Kong. Impossibile non restare a fissare la meraviglia di questo skyline – a proposito, tutte le sere va in scena per una ventina di minuti Symphony of Lights: show di luci che illumina l’iconica silhouette della Bank of China Tower e di altri grattacieli nel quartiere di Central.

Una camera con vista sul porto dell’hotel Regent Hong Kong

Lo spettacolo della baia di notte si fa ancora più intenso nell’intimità della mia camera: dalla finestra della 534, al quinto piano, quasi riesco a sfiorare le giunche che navigano lente tra le due sponde dell’ex colonia britannica – ne fanno parte Kowloon (la penisola) e 236 isole (in maggioranza disabitate), tra cui quella di Hong Kong. Un vero peccato chiudere gli occhi, ma trovo il giusto slancio e spengo l’abat-jour. Peccato che ad accendersi in me ci sia l’eccitazione di iniziare un nuovo giorno.

La Special Administrative Region, tornata alla Cina dopo essere stata protettorato britannico per oltre 150 anni a seguito del trattato di Nanchino del 1842, corre velocissima e la mattina mostra il suo volto più esuberante. Per strada a prevalere sono i profumi – anche se il punto di vista è soggettivo: c’è chi apprezza, come me, quel tipico miscuglio che aleggia nell’aria delle metropoli asiatiche fatto di street food, note di citronella, olezzi non meglio identificati e aromi speziati, e chi lo detesta – e (tantissimo) i suoni. Camminando per Nathan Road, a Kowloon, ogni passo è scandito dal trillo squillante dei semafori che cambia a seconda del colore (al rosso, compassato; al verde, martellante).

Una melodia che ho conservato impressa. Ho capito che sono proprio questo caos ordinato e l’armonia di generi che la caratterizza, una perfetta mescolanza di tratti europei e asiatici, ad attrarmi così tanto. Davanti a me è un susseguirsi di botteghe che vendono rimedi di medicina tradizionale cinese, store di brand internazionali, caffetterie, centri di agopuntura e riflessologia plantare, money change, bigiotterie e negozi di ammennicoli vari. Di tutto un po’. La domanda è lecita: da dove cominciare allora?

Un buon punto di partenza per andare alla scoperta del vibrante distretto commerciale di Hong Kong è lo storico hotel The Peninsula – 5 stelle “nostalgico” nel rito dell’Afternoon Tea, proposto tutti i giorni nella sua raffinata lobby – per poi spingersi più a nord fino al mercato della giada Yau Ma Tei Jade Hawker Bazaar e allo Yue Hwa Chinese Products Emporium (cinque piani straripanti di porcellane, artigianato, abbigliamento e prodotti alimentari, su tutti una vastissima selezione di tè).

Il quartiere popolare di Sham Shui Po, nella zona nordovest di Kowloon

Avventurandosi ancora più su, merita una visita il quartiere popolare di Sham Shui Po, un tempo l’area specializzata nella produzione e vendita di tessuti: ancora oggi è un brulicare di persone (per lo più locali) intente a chiudere i loro affari ai banchi del mercato o nei negozietti di stoffe e bottoni. Un sedicente medico, nel suo impolverato baracchino sulla strada ricolmo di barattoli e scartoffie varie, voleva vendermi un fantomatico olio curativo, estratto dalla pelle di un serpente conosciuto come Mocassino acquatico. Nomen omen. Pensando ancora al povero rettile – sfuggito sì a un calzaturificio, ma non all’ingloriosa boccetta – mi dirigo verso la stazione della metro in direzione del polo culturale della città: West Kowloon, 40 ettari di spazi d’arte, teatri, sale concerto e parchi.

Qui nel 2021 ha inaugurato il mastodontico M+ (65mila metri quadrati, quasi il doppio della londinese Tate Modern): il primo museo asiatico dedicato alla cultura visiva del XX e XXI secolo. Cerco di orientarmi tra le sue oltre trenta gallerie, ma con scarso successo. E, sentendomi ancora più persa di fronte a un vaso Ming “a dialogo” con un’installazione di digital art, cerco conforto in un nome familiare: Picasso for Asia–A Conversation, una delle più importanti mostre che Hong Kong abbia mai dedicato al maestro del cubismo con opere provenienti dal Musée national Picasso-Paris a confronto con lavori di artisti asiatici contemporanei: chiusa a metà luglio, ho avuto la fortuna di vederla. Nel frattempo, da una delle grandi vetrate del M+, noto che il sole sta velocemente scendendo verso la linea dell’orizzonte, così mi sbrigo (non me ne voglia Picasso) a raggiungere una delle terrazze del museo per godermi il tramonto. Il disco rosso sta quasi per buttarsi in acqua, mancano pochi concitati istanti, l’emozione sale ma improvvisamente dal cellulare di due adolescenti impegnate in uno stacchetto per TikTok parte una musica a palla. Fine del romanticismo.

Me ne vado con fare mesto verso la stazione dei taxi, finché mi ricordo di non avere neanche più un Hong Kong dollar in tasca: o contanti, o a piedi. I tassisti infatti non accettano le carte. E così – “Viva la tecnologia. Quasi rivaluto TikTok!” – mi affido a Uber per rientrare al Regent. Domani è un altro giorno, e ovviamente non vedo l’ora che incominci. Il mattino seguente la mia direzione è l’isola di Hong Kong, così mi incammino verso il molo a Kowloon da dove partono i battelli che collegano le due sponde della città. Dalle panche in legno dei caratteristici Star Ferry, dall’aria d’antan, si può comodamente ammirare, da un lato, la frenetica Tsim Sha Tsui e, dall’altro, la silhouette di Central, cuore del business.

Gli avveniristici grattacieli di Central sull’isola di Hong Kong, tra cui la Bank of China Tower

In pochi minuti di navigazione si arriva a destinazione. Anche solo attraversando le strisce pedonali si coglie l’animo multirazziale di questa metropoli da più di 7 milioni di persone – tantissimi gli expat europei, indiani, americani, australiani – che per anni è stata la “capitale finanziaria” dell’Asia fino a che, per colpa del Covid e di vicissitudini politiche, ha visto lentamente sbiadirsi questo primato a vantaggio di Shanghai. Camminando con il naso all’insù, i grattacieli più avveniristici richiamano agli affari: c’è la Bank of China Tower – alta quasi 370 metri, progetto di I.M. Pei (l’archistar della piramide del Louvre) – e l’headquarter di HSBC, per cui Norman Foster ha seguito l’antica disciplina del Feng Shui. Ma la prospettiva più impressionante non può che essere dall’alto: la salita in funicolare al The Peak, la collina più elevata dell’isola di Hong Kong (e quartiere dei multimilionari), regala una vista che si perde sul Victoria Harbour e sulla penisola di Kowloon.

Murales e street art per le vie di Central

Di notte è il momento migliore: non c’è foschia e le luci accendono lo skyline. Sonno ancora lontano? Che sia per l’euforia di questo spettacolo o colpa del fuso, l’occasione è quella giusta per andare alla scoperta di Soho, epicentro della nightlife, e in particolare di Hollywood Road, tutta street art e ristoranti alla moda. Interessante è il Police Married Quarters, un tempo dormitorio per le famiglie dei poliziotti, oggi hub del design indie con centinaia di atelier. Altra piccola deviazione che merita è The Magistracy, l’ex Corte Suprema di Hong Kong trasformata in uno spazio di creatività che ospita installazioni di arte contemporanea e caffetterie trendy. Dal profano al sacro, in un centinaio di metri.

Spirali di incenso e preghiere al tempio taoista di Man Mo, uno dei più antichi in città

Basta girare l’angolo e si può finire al tempio taoista di Man Mo, tra i più antichi in città. Ad accogliermi è una (pungente) nube fitta di incenso che brucia da spirali appese al soffitto e un convulso via vai di fedeli che vengono a invocare prosperità economica, ma non solo. Non c’è tempo da perdere, al punto che finisco davanti a un distributore automatico di bastoncini d’incenso, escamotage per accelerare il rituale di preghiera. Va bene la spiritualità, ma “business is business”. Siamo pur sempre a Hong Kong.

Info di viaggio

Dove dormire

Regent Hong Kong

Cinque stelle decretato da Travel + Leisure vincitore della classifica “Best Hotels in Hong Kong” e tra i “500 Best Hotels in the World”. Qui c’è anche un ristorante due stelle Michelin: Lai Ching Heen (con panorama incantevole sulla baia).

Riso fritto con anatra arrosto e polpa di granchio, avvolto in foglie di loto proposto dal ristorante stellato Lai Ching Heen

Dove mangiare e bere

Hutong

Tavoli che affacciano sul Victoria Harbour e proposte (piccanti) originarie del Sichuan.

Madame Fù

Ottimi dim sum e cucina cantonese (in chiave moderna) in un edificio coloniale.

Ho Lee Fook

Drink serviti in boccali a forma di Maneki-neko, i gatti della fortuna, e piatti cantonesi.

Maggie Choo’s

Secret bar con musica dal vivo e atmosfera da epoca del proibizionismo.

Bar Leone

Premiato come miglior bar di tutta l’Asia dalla The World’s 50 Best Bars 2024.

Come arrivare

Cathay Pacific 

Compagnia di bandiera di Hong Kong, terza classificata ai World’s Best Airlines of 2025 di Skytrax, offre collegamenti diretti da Milano (giornalieri) e da Roma (tre volte a settimana, fino a ottobre 2025) verso l’ex colonia britannica con moderni Airbus A350- 900. Tre le classi di viaggio: Economy Class (per Skytrax la migliore al mondo), Premium Economy (con sedili più ampi e spazio extra per le gambe) e Business Class con poltrone che si reclinano completamente fino a diventare letti. In ognuna di queste, l’esperienza di volo è arricchita da menu di bordo con piatti firmati da rinomati chef di ristoranti stellati della metropoli asiatica, e da un’offerta di intrattenimento che include centinaia di ore di film, documentari e serie TV targate HBO Max e Disney+ (da qui il riconoscimento World’s Best Inflight Entertainment). Oltre a Cathay fa parte del gruppo anche il vettore low cost HK Express: l’hub sull’isola di Chek Lap Kok punta a diventare stopover sempre più strategico verso le principali destinazioni dell’area Asia-Pacifico (tra cui 22 città della Cina continentale).

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