Sono andata a Breslavia, in Polonia, sulle tracce di mio nonno, che è nato e cresciuto lì, quando questa pittoresca città sul fiume Oder era Breslau, in Germania. Con un elenco dei suoi vecchi indirizzi, ricavato dai documenti sparsi che aveva lasciato, ho cercato di rintracciare le sue vecchie case. Ma i nomi delle strade tedesche erano stati da tempo cambiati in quelli polacchi e i pochi edifici che sono riuscita a localizzare erano tutti moderni. Probabilmente non avrei dovuto sorprendermi per le frustrazioni della mia ricerca genealogica. Sebbene Breslau – a differenza di altre città tedesche come Colonia e Amburgo – fosse rimasta incredibilmente intatta nei primi cinque anni della Seconda guerra mondiale, i bombardamenti sovietici tra gennaio a maggio 1945 lasciarono l’ottanta percento della città in rovina.«Diciamo solo l’ottanta percento», mi ha detto Rafal Dutkiewicz, sindaco di Breslavia dal 2002 al 2018, mentre pranzavamo al ristorante sul rooftop dell’Hotel Monopol Breslavia, «perché Varsavia è stata distrutta al novanta percento».
Un salto indietro nel tempo
Ha indicato le facciate pastello degli edifici neobarocchi sotto di noi. L’Hotel Monopol, dal cui balcone una volta parlò Adolf Hitler e dove soggiornarono personalità come Marlene Dietrich e Pablo Picasso, era tra il venti percento degli edifici sopravvissuti: sono così rari che la gente del posto li conosce a memoria, mentre i visitatori occasionali farebbero fatica a distinguerli da quelli che sono stati ricostruiti ad arte, spesso seguendo i progetti originali. La distruzione di Breslau, va detto, non era affatto inevitabile. Dipese interamente dalla decisione di Hitler, alla fine del 1944, di designare la città come “Festung Breslau”, l’ultima fortezza della Germania, che doveva essere difesa a tutti i costi dall’avanzata sovietica. Per questo motivo, dopo essere stata per gran parte della guerra un rifugio per chi fuggiva da zone di conflitto più intenso, nei primi mesi del 1945 fu rasa al suolo da bombe e carri armati. Questo, unito ai sanguinosi combattimenti nelle strade, causò la morte di decine di migliaia di civili. Il comandante di Hitler a Breslau resistette per tre giorni prima della resa incondizionata della Germania ai sovietici.
Mio nonno, a quel punto ormai dall’altra parte del mondo, a Houston, non avrebbe mai più rivisto la sua città natale, ma mi sono spesso chiesta cosa dovesse pensare degli sconvolgimenti che continuarono a turbare la regione anche dopo la guerra. Nel luglio 1945, per volere di Joseph Stalin, la città diventò da un giorno all’altro da tedesca a polacca mentre la popolazione di etnia polacca di Lwów – l’odierna Leopoli, in Ucraina – fu cacciata dalle proprie case e trapiantata qui, nella città ribattezzata Breslavia. Gli oltre 600mila tedeschi che vivevano in quella che era stata Breslau furono spinti a ovest.
Non c’è da stupirsi che il fantasma di mio nonno si sia rivelato inafferrabile in un luogo del genere. Avevo sperato di trovarne traccia nella Piazza del Mercato del Sale, davanti al palazzo della Vecchia Borsa – uno dei pochi edifici originali rimasti, color melone – dove, un secolo fa, suo padre commerciava cereali. Oggi si staglia dietro un mercato dei fiori all’aperto, aperto 24 ore al giorno. La prima sera in città, mi sono seduta su una panchina all’esterno del microbirrificio Spiż per bere una Ipa (a Breslavia non mancano birre artigianali, kombucha, caffè freddo e opzioni vegane, senza glutine e a basso contenuto di carboidrati nei menu), meravigliandomi della stratificazione in qualche modo armoniosa di passato e presente che mi circondava.
Tra le vie della “Venezia polacca”
Un tempo importante avamposto commerciale dove si incontravano la Via della Seta e la Via dell’Ambra, la città, ormai completamente polacca, è stata governata nel corso dei secoli da boemi, asburgici, prussiani, nazisti e comunisti. Ed è proprio questa fusione di culture e influenze che oggi rende Breslavia, la quarta città più grande del Paese e tra quelle in più rapida crescita dell’Unione Europea, così magica. Attraversate il fiume Oder in un certo punto – Breslavia, soprannominata “la Venezia polacca”, vanta più di cento ponti – e siete a Praga; attraversate quella porta e siete a Vienna. In fondo a questa strada, l’imponente ufficio postale in mattoni rossi ricorda la Germania di Weimar. Guardando a nord-est si trova “Manhattan”, un complesso brutalista di grattacieli commerciali e residenziali tipico dell’architettura dell’epoca della cortina di ferro.

Dopo la birra, ho proseguito esplorando il Rynek, la piazza del mercato centrale della città, costruita attorno al municipio gotico che risale alla fine del XIII secolo. In osservanza alle abitudini polacche di mia conoscenza, ho ordinato un piatto di pierogi nella raffinata Pierogarnia. Nel corso della serata ho assistito a una processione di Hare Krishna, una donna che si destreggiava con torce infuocate, un uomo in monociclo sospeso su una corda e una piccola protesta contro l’oppressione nella vicina Bielorussia. Ho trascorso i giorni successivi facendo visite culturali lungo l’Oder, dal Museo Nazionale di Breslavia, un ex edificio municipale tedesco ricoperto d’edera che ospita una delle più grandi collezioni d’arte polacca contemporanea del Paese, a Hydropolis, un “centro di conoscenza dell’acqua” con mostre educative. Il resto del tempo l’ho trascorso gustando pasti quasi sempre sublimi.

Gli indirizzi del gusto e dell’ospitalità
Questa è stata forse la sorpresa più grande per me: l’eccellenza costante del cibo di Breslavia. C’è stato il risotto alla trota a La Maddalena, che offre una splendida vista sull’Oder e sulla facciata gialla (ricostruita) dell’università dove mio nonno si laureò in legge nel 1921. Ci sono state le uova in camicia con burro al peperoncino e aneto da Dinette, e l’insalata di barbabietole da Mleczarina, nel cortile di fronte alla sinagoga della Cicogna Bianca, l’unica della città sopravvissuta alla Notte dei Cristalli, recentemente restaurata. E non posso certo tralasciare il paté di semi di girasole e il merluzzo di Restauracja Tarasowa, un ristorante di soli ingredienti locali presso la Sala del Centenario di Breslavia, complesso architettonico che ospita anche un’enorme fontana multimediale che d’estate offre spettacoli d’acqua e di luce.
L’ultima sera in città ho passeggiato per un vicolo pieno di gallerie e atelier di artisti fino alla Neon Side Gallery di Ruska 46, un vicolo cieco tappezzato di insegne al neon recuperate da cinema, hotel e impianti industriali dismessi, che ha anche (ovviamente) un delizioso bar, Recepcja. Dopo, ho fatto una lunga passeggiata verso il fiume, passando davanti a decine di gnomi di bronzo – la città ne conta 600 – che commemorano l’Alternativa Arancione, il movimento di opposizione nato a Breslavia che ha contribuito a rovesciare il comunismo negli anni Ottanta. Ho concluso la mia serata a Ostrów Tumski, l’“isola della cattedrale”, abitata da più di mille anni. Ogni sera qui s’incontrano gruppi di suore che guardano il sole immergersi nel fiume, giovani seminaristi che passeggiano davanti alla cattedrale di San Giovanni Battista, ricostruita nel XIII secolo, o persone del posto che si godono un’altra cena di alto livello in riva al fiume, questa volta a base di cucina contemporanea polacca, al Lwia Brama.
Ostrów Tumski ospita anche il miglior hotel di lusso della città, il Bridge Breslavia, che offre una splendida vista sul fiume e – indovinate – un’eccellente cucina. L’Art Hotel, un punto di riferimento nella città vecchia, si trova in un edificio riconvertito, alcune parti del quale sono sopravvissute fin dal XIV secolo. Dall’altra parte della strada si trova il mercato medievale della carne che, come gran parte della Breslavia di oggi, è ora un insieme di piccole gallerie e botteghe artigianali. Guardate bene e troverete le statue che commemorano gli animali macellati qui nel corso dei secoli.
Cosa avrebbe pensato mio nonno, morto ormai da più di mezzo secolo, della sua città natale, che ha subito così tanti sconvolgimenti? Una domanda poco plausibile, ho realizzato presto. Lui non c’è più, e così la sua città; anche la lapide di suo padre nel Nuovo Cimitero Ebraico è scomparsa da tempo. Ma è così che funziona la storia, e in nessun luogo come in questo tormentato crocevia d’Europa. Rade al suolo, ricostruisce e pavimenta su ciò che è venuto prima. A volte c’è continuità, a volte rottura. Ma a Breslavia, un passato difficile ha finalmente lasciato il posto a un luogo che si sente assolutamente appartenere al futuro.