Paris Match: l’animo anticonformista del Marais

Paris Match: l’animo anticonformista del Marais

Radici regali, tradizione francese ed eleganza cosmopolita: Thomas Chatterton Williams visita il fascinoso quartiere e trova il connubio perfetto.
La Senna vista dal Pont Louis-Philippe, che collega l’Île Saint-Louis al Marais.
La Senna vista dal Pont Louis-Philippe, che collega l’Île Saint-Louis al Marais. Foto di Anaïs Boileau.

Settembre era iniziato da una settimana. Le vacanze estive, che hanno un ruolo così importante nella concezione che la Francia ha di se stessa, si erano appena concluse e Parigi era già nel pieno della rentrée, il momento estremamente scenografico in cui l’intera nazione torna a scuola e al lavoro e i dehors dei caffè si riempiono di gente. Questo rituale collettivo di ricongiungimento e riscoperta, la possibilità di guardare con occhi nuovi a condizioni familiari, è uno degli aspetti che preferisco della vita in Francia da quando mi sono trasferito qui da Brooklyn, dove esistono sicuramente stagioni condivise, ma la routine è molto meno uniforme.

Mentre rientravo a Parigi con la mia famiglia dopo un paio di settimane al mare, mi sono reso conto che vivevo da una dozzina di anni sulla rive droite. Lì avevo cresciuto i miei figli per un decennio e, fino alla pandemia, avevo fatto il pendolare dal mio appartamento nel X arrondissement a un luminoso ufficio condiviso nel Marais meridionale, nel punto in cui la Senna avvolge nel suo abbraccio l’Île Saint-Louis. Avevo sempre amato quella zona e sentivo che le circostanze me ne avevano privato troppo presto.

Decorazioni floreali all’angolo di Rue Mahler e Rue de Rivoli. Foto di Anaïs Boileau.

Quando si è attenuato il ricordo dei disagi e dei traumi causati dal Covid e i turisti sono tornati a Parigi – di nuovo la città più visitata al mondo – il Marais ha iniziato a essere più vivo e pulsante che mai. Perenne centro di aggregazione per la folla itinerante della settimana della moda, ora è anche la destinazione Airbnb preferita dagli artisti, curatori e galleristi che in autunno visitano l’edizione parigina di Art Basel. In una città che notoriamente cambia a rilento, nuovi ristoranti e negozi nascono a un ritmo insolitamente rapido. Così ho colto al volo l’occasione di concedermi un breve soggiorno in un nuovo hotel non lontano dall’ufficio che affittavo un tempo.

Mia figlia Marlow, che stava per compiere dieci anni, è venuta con me. Il Marais, un quartiere storico che si estende tra il III e il IV arrondissement, è una delle aree medievali meglio conservate della città, costruito su zone umide che furono prosciugate nel XII e XIII secolo (il nome significa “palude” in francese) e sede della comunità ebraica già alla fine del Duecento. Per un certo periodo fu un quartiere alla moda per la nobiltà dell’ancien régime, per poi tornare a essere il fulcro della vita ebraica di Parigi dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale.

Il dinamismo culturale e commerciale del Marais

Alla fine del XX secolo ha vissuto un’ulteriore evoluzione, diventando la mecca della cultura dei caffè e della vita notturna per la comunità LGBTQ. Fino alle modifiche apportate al diritto del lavoro nel 2015, era uno dei pochi quartieri di Parigi in cui si poteva fare acquisti la domenica (la deroga era stata concessa, in parte, perché non è un giorno sacro per gli ebrei).

Dagli anni Duemila il Marais è diventato sempre più vitale dal punto di vista commerciale, come SoHo a New York o Mitte a Berlino, pur mantenendo una sua autenticità visiva e culturale, se si sa dove guardare. Le sue strade strette e tortuose sono ancora definite da case a graticcio inclinate, con grandi finestre da cui si vedono stanze con soffitti alti e travi di legno. Le vie sono costellate da imponenti ed eleganti edifici municipali in pietra e da hôtel particuliers (palazzi nobiliari) che spesso celano giardini murati con un tripudio di fiori appariscenti.

Una suite al Grand Mazarin, nuovo hotel nel quartiere del Marais. Foto di Anaïs Boileau.

Gran parte di Parigi aveva quest’aspetto prima che Napoleone III assegnasse al barone Haussmann l’incarico di radere al suolo e rinnovare la città a metà del XIX secolo, demolendo quei caratteristici quartieri ad alta densità di popolazione in cui si erano rapidamente diffuse malattie e rivoluzioni. L’immagine del centro di Parigi emersa da quell’operazione urbanistica, che oggi è considerata l’emblema stesso della città – grandi boulevard alberati fiancheggiati da simmetrici palazzi a uso misto con cortili centrali, balconi in ferro battuto e tetti mansardati – è quindi una creazione relativamente recente.

Affreschi di Jacques Merle sopra la piscina del Grand Mazarin. Foto di Anaïs Boileau.

Per avere un’idea del ricco e conflittuale passato della capitale francese e del suo futuro cosmopolita, basta prendere un vélo a noleggio o uscire dalla metropolitana nell’intricato dedalo di strade delimitato dalla Senna a sud, da Rue Beaubourg e Rue Turbigo a ovest, dal Boulevard du Temple a nord e dal Boulevard Beaumarchais a est. Si prova un’emozione quasi perversa nel registrarsi in un hotel della città in cui si vive. Non appena il nostro Uber ha depositato Marlow e me al Grand Mazarin, nella Rue de la Verrerie affollata di turisti, addetti in livrea ci hanno introdotto in un’oasi di pace. Nel complesso di edifici ristrutturati dall’interior designer svedese Martin Brudnizki si respirava un’atmosfera di lussuosa serenità.

Energia anticonformista e animo innovativo

Lo stile degli ambienti è un arioso e fresco classicismo francese con eccentrici tocchi anglosassoni. Sontuosi tendaggi e tappezzerie spiccano su pareti dipinte a colori vivaci come avocado e pesca. La nostra camera al secondo piano era arredata con gusto e aveva le finestre affacciate sui grandi magazzini BHV Marais. Una bottiglia di Champagne ben freddo per me e un piatto abbondante di madeleine per Marlow ci hanno accolti nell’area soggiorno, dove campeggiava un immenso televisore a parete. L’ho acceso subito, ma l’attenzione di Marlow si è spostata sul grande letto matrimoniale con due materassi, che per un disguido di comunicazione con il telecomando si era alzato di parecchio da un lato.

Prima che un gentile impiegato si precipitasse ad abbassarlo, Marlow si è divertita a fare capriole da un materasso all’altro mentre io cercavo di decidere cosa fare per cena. Nella calda serata di fine estate, le strade del Marais erano gremite di uomini e donne vestiti con eleganza il cui stile, più orientato verso scelte alla moda e aperto alle influenze straniere e di streetwear rispetto ad altre zone di Parigi, rendevano informale la cornice medievale. Pur non essendo più un quartiere bohémien – oggi da queste parti circola troppo denaro – il Marais vibra di una contagiosa energia anticonformista. In pratica è la versione parigina di ciò che Williamsburg rappresenta a Brooklyn e Shoreditch a Londra, ma rimane comunque affascinante.

Rue des Rosiers, il cuore del quartiere ebraico

A pochi minuti dal Grand Mazarin si trova Rue des Rosiers (“via dei rosai”), una vivace strada pedonale tra Rue Mahler e Rue Vieille du Temple che segna il centro del vecchio Marais ebraico, noto in yiddish come Pletzl (“piccolo luogo”). Quest’area è stata oggetto di un profondo processo di gentrificazione iniziato decenni fa, che ha portato all’apertura di grandi negozi accattivanti come Muji, NikeLab P75 e Uniqlo. Ma vanta anche affollati ristoranti di falafel e piccoli locali marocchini e di ebrei della diaspora che servono deliziosi vassoi di meze. In cerca di un’opzione meno avventurosa, Marlow e io abbiamo scelto un tavolo alla Beef Steakhouse, ristorante di recente apertura del giovane chef franco-israeliano Daniel Renaudie.

Eravamo affamati e non abbiamo avuto bisogno di molto tempo per esaminare il menu, un vero sogno per gli amanti della carne. Abbiamo diviso un’enorme côte de boeuf cucinata a regola d’arte, servita con croccanti patatine fritte salate, che Marlow ha condito con una selezione di salse fatte in casa – la sua preferita è La Belle Bérénice, una ricca e saporita maionese con dragoncello, aceto bianco e senape. Per finire abbiamo ordinato un tiramisù e un affogato (due scelte sempre affidabili), per poi tornare in albergo tenendoci a braccetto.

Vista sui tetti di Parigi dalla Tour Eiffel. Foto di Anaïs Boileau.

La mattina seguente ho preso un caffè con Leslie Kouhana, che possiede una padronanza linguistica tale da essere di un’ospitalità impeccabile sia in francese sia in inglese. Negli anni 70 la sua famiglia, i Pariente, aveva fondato Naf Naf, una catena di negozi di abbigliamento in cui tutte le ragazze del mio programma di studio all’estero in Francia amavano rovistare alla ricerca di abiti da portare a casa. In seguito i Pariente si sono dedicati all’ospitalità, aprendo strutture ricettive in stile familiare a Crillon-le-Brave in Provenza, a Saint-Tropez sulla Costa Azzurra e nell’incantevole località sciistica alpina di Méribel.

Le Grand Mazarin rappresenta la prima incursione del gruppo nel mercato estremamente competitivo degli hotel parigini. L’idea era di creare una struttura a cinque stelle con un servizio eccezionale che sembrasse la dimora di «una donna che vive nel Marais, organizza salotti e riempie casa di bellissimi souvenir dei suoi viaggi». Ci sono voluti cinque anni per accorpare e restaurare tre edifici distinti e realizzare questa visione. Kouhana si è ispirata al lavoro svolto da Brudnizki all’Annabel’s di Londra e ha immaginato un hotel rivolto a una clientela giovane che cerca «un’esperienza di lusso, ma più semplice e accogliente».

Un tour tra i sapori multiculturali

Quel pomeriggio Marlow è andata via dopo una telefonata della sua migliore amica, così al suo posto ho preso con me Saul, il fratellino di cinque anni. Il ristorante interno del Mazarin, Boubalé – “la mia bambolina” in yiddish – è la creazione più recente di Assaf Granit, chef e imprenditore nato a Gerusalemme che già aveva guadagnato ampi consensi con i precedenti locali parigini Balagan e Shabour (con quest’ultimo ha conquistato anche una stella Michelin), in cui propone colorate rivisitazioni contemporanee della cucina israeliana.

La tradizione sefardita occupa un posto di spicco in Francia, ma Granit si è prefissato il compito di reintrodurre le delizie della cucina ashkenazita dell’Europa orientale, retaggio delle sue origini da una famiglia di ebrei polacchi. Negli anni in cui vivevo a Brooklyn, la mia conoscenza della cucina ashkenazita si limitava per lo più a salmone affumicato, punta di petto, sandwich al pastrami con sottaceti e zuppa di polpette di matzah – tutte specialità deliziose, ma niente di particolarmente audace o inventivo.

Goulasch con gnocchi, ravioli di manzo e agnello e challah al ristorante Boubalé del Grand Mazarin. Foto di Anaïs Boileau.

Al Boubalé, la cena con più portate dopo un gradito aperitivo al bar (succo di frutta per Saul e Champagne per me) è stata qualcosa di familiare e allo stesso tempo completamente nuovo. Abbiamo iniziato con uno straordinario assortimento di soffice challah appena sfornata e alcune sostanziose salsine. Se non si riesce a trattenersi, ci si può facilmente saziare già così. Pietanze quali mousse di fegatini di pollo, terrina di vitello, manzo con salsa di rafano, goulasch e ravioli di manzo e agnello rivelano influssi polacchi, russi e tedeschi. «Ma quanta roba da mangiare ci portano?», mi ha chiesto Saul con aria perplessa.

Uno degli aspetti più piacevoli del vivere a Parigi è la frequenza con cui vengono a trovarci gli amici americani. La settimana dopo il mio soggiorno in hotel, quando il mio compagno di università Noah e la sua ragazza Kathy sono arrivati in città, ho colto al volo l’occasione di raggiungerli nella loro sala da pranzo privata all’Ogata Paris in Rue Debelleyme. L’Ogata è una creazione dell’architetto, designer e ristoratore di Tokyo Shinichiro Ogata.

Il coproprietario Hadrien Moudoulaud dietro il bancone del Bar Nouveau. Foto di Anaïs Boileau.

Situato in un edificio del XVII secolo magnificamente restaurato che una volta era una quincaillerie (ferramenta), questo curatissimo emporio è una sorta di versione giapponese di Eataly dedicata a gastronomia, tè e design. Entrato nella spaziosa hall, dove durante il giorno si vendono ceramiche e dolciumi in splendide confezioni, sono salito al ristorante al piano superiore, dove ho trovato Kathy e Noah in una sala arredata in modo molto essenziale, seduti all’estremità di un lungo tavolo di legno che viene pulito a fondo dopo ogni servizio.

Noah, che con l’età è diventato un vero e proprio intenditore, indossava un kimono celeste che aveva messo in valigia per l’occasione. Mi sono tolto le scarpe da ginnastica per indossare i sandali di legno forniti dal ristorante, mentre il cameriere portava la prima di una serie di eccellenti bottiglie di sakè ghiacciato. Altri due amici si sono uniti a noi per uno dei pasti più memorabili e splendidamente presentati della mia vita. Il menu degustazione, che a 160 euro a testa è una delle esperienze culinarie con il miglior rapporto qualità-prezzo della città (la sala privata, o “teatro delle stagioni”, implica un supplemento), include sashimi, carni scottate, un gustoso owan (brodo chiaro con polpette di pesce cotte al vapore), verdure di stagione, gelato di produzione propria e un numero tale di amuse-bouche da averne perso il conto.

Tra cultura e benessere

Ofr. libreria specializzata in titoli di arte e moda. Foto di Anaïs Boileau.

Il pasto è stato così coinvolgente che, una volta tornato nel Marais, ho deciso di prendere una copia del bel libro fotografico Ogata: Reinventing the Japanese Art of Living. Ed è stato anche la scusa per curiosare in una delle mie librerie preferite, Ofr., situata vicino all’incantevole Square du Temple-Elie Wiesel. Questa piazza verdeggiante è anche una delle zone più piacevoli della città per osservare la gente e fermarsi per un apéro in uno dei tanti caffè all’aperto. Nella zona di Rue Sainte-Anne, nel I arrondissement vicino al Louvre, c’è un piccolo ma consolidato quartiere giapponese, però il Marais potrebbe iniziare a fargli concorrenza.

Il Musée Picasso, ubicato in un palazzo nobiliare del XVII secolo. Foto di Anaïs Boileau.

Dopo aver visitato l’Ofr. sono andato al Suisen, un salone di massaggi tradizionali giapponesi, dove avevo prenotato un appuntamento su consiglio di Kouhana. Dopo un vigoroso ma per nulla doloroso shiatsu con oli aromatici di 90 minuti, seguito da un ciclo di trattamenti viso antiage, sono stato invitato a rilassarmi con un profumato tè verde biologico. Situato in un quartiere gremito di gallerie d’arte, tra cui Chantal Crousel e Perrotin, e a pochi passi da Rue de Thorigny, dove si trova il Musée Picasso, il Suisen è la tappa perfetta dopo una giornata trascorsa a guardare le vetrine o ad ammirare opere d’arte.

Sculture e dipinti, tra cui La Flûte de Pan al Musée Picasso. Foto di Anaïs Boileau.

L’arte della tavola tra café-tabac e brasserie

A quel punto, quando possibile, ho cercato di indirizzare tutti gli appuntamenti verso il Marais. Un pomeriggio ho incontrato il mio amico Seb, scrittore e giornalista inglese appassionato di cucina, per un pranzo spettacolare al Parcelles, ristorante ed épicerie in Rue Chapon che serve vini naturali e piatti classici. Abbiamo condiviso una mezza dozzina di ostriche e un delizioso Jamón Serrano di 36 mesi, per proseguire con insalata di fagiolini, pressé de jarret de porc (stinco di maiale cotto a fuoco lento) e la portata principale, una tenerissima carne di agnello. Per dessert ho commesso l’errore di ordinare del formaggio: la crème brûlée di Seb era sensazionale, con la superficie croccante ma non bruciata e l’interno caldo e cremoso.

Nel corso del mese successivo ho esplorato un numero infinito di bar e ristoranti caratteristici. Un localino dal fascino nostalgico, il Bar Nouveau, serviva cocktail preparati meticolosamente con un tocco originale, ovvero interpretazioni diverse dello stesso drink di base a seconda che si fosse seduti al piano superiore o inferiore. Ho portato gli amici venuti in città per Art Basel a Le Progrès Marais, un café-tabac e brasserie all’angolo tra Rue de Bretagne e Rue Vieille du Temple che è una vera e propria istituzione, con una cucina raffinata quanto la clientela.

Le Progrès, un luogo ideale per osservare la gente. Foto di Anaïs Boileau.

L’ultima sera del mio tour improvvisato ho dato appuntamento al mio buon amico, il filosofo Pascal Bruckner, al Glou per gustare braciole di maiale impanate e un Pinot Nero naturale. Pascal vive nella stessa via da 16 anni e il Glou, un locale attento all’ambiente con grandi tavoli comuni, frequentato da parigini e da visitatori che se ne intendono, è diventato il suo ristorante di quartiere, anche se non è sempre facile trovare posto. Per tradizione i filosofi come Pascal abitano da sempre sulla rive gauche e frequentano i caffè di Saint-Germain, per cui ero rimasto piacevolmente sorpreso quando mi aveva detto che viveva nel Marais. Ma pensandoci meglio, la cosa aveva senso. Nonostante il carattere eterogeneo e all’ultima moda, il Marais è costituito essenzialmente dalla sua storia e dalla sua atmosfera, che sono si sono mantenute intatte e proprio per questo lo rendono così suggestivo. «Cos’è che ti ha attirato di questo quartiere?» gli ho chiesto. «Il suo fascino è che quando lo attraversi vieni trasportato nel passato, come in un set cinematografico», mi ha risposto. «Apri un grande cancello e intravedi un giardino incantevole, un fazzoletto di verde. È un frammento del XVIII secolo nel bel mezzo di Parigi».

Ceramiche in esposizione al concept store Merci. Foto di Anaïs Boileau.

Dove dormire

Le Grand Mazarin
Per questo hotel con 50 camere e 11 suite del gruppo alberghiero a conduzione familiare Maisons Pariente, il designer Martin Brudnizki si è ispirato alla storia della cultura dei salotti del quartiere per creare interni classici ricchi di colore. Il piano interrato ospita una piscina rivestita da piastrelle sensazionali.

Dove mangiare e bere

Bar Nouveau
Inaugurato all’inizio del 2023, questo bar che si definisce “trop petit” è caratterizzato da un design che omaggia i motivi floreali dell’Art Nouveau. La drink list creativa include il cocktail della casa, il Ramos, con vodka, liquore ai fiori di sambuco e yogurt alla vaniglia.
Boubalé
In questo vivace ristorante annesso al Grand Mazarin, lo chef Assaf Granit propone una versione moderna della cucina ashkenazita. I piatti forti sono la soffice challah, le polpette di matzah e pesce, il goulasch di guanciale di manzo con gnocchi e le grandi fette di cheesecake guarnite con fichi freschi.
Café La Perle
Croque monsieur di giorno, cocktail di sera.

Glou
Popolare bistrò di quartiere che serve versioni impeccabili dei più amati piatti francesi adottando pratiche sostenibili e riducendo gli sprechi.
Le Beef Steakhouse
Il nome dice (quasi) tutto: carne di manzo in un’ampia gamma di tagli che vanno dalla bavetta alla costata, ma anche superbe frites e i più classici dessert francesi.
Le Progrès Marais
Questa brasserie all’angolo offre una cucina discreta, ma vanta una posizione invidiabile per osservare la gente.
Ogata Paris
Questo tempio della cucina e della cultura giapponese ospita una sala da tè, un whisky bar, un’elegante boutique e il ristorante minimalista dello chef Shinichiro Ogata, che serve un pasto da più portate con sashimi, verdure di stagione e dolci squisiti.
Parcelles
Un bistrò luminoso e arioso con un menu sempre diverso di piatti francesi, come animelle di vitello, tartare di lampuga e torta al cioccolato.

Shopping

Galerie Boketto
Un luogo di culto per i mobili d’epoca, con pezzi di designer rinomati quali Pierre Paulin e Marcel Breuer e altri da riscoprire.
Merci
Apprezzato concept store con un’offerta che spazia dall’abbigliamento agli articoli per la casa, dalla cartoleria ai prodotti di bellezza, oltre a includere un negozio di libri usati e un caffè. Cercate la famosa Fiat 500 rossa vintage esposta nel cortile.
Ofr.
Libreria indipendente che vanta un’affezionata clientela e scaffali gremiti di titoli di arte, fotografia e moda. Offre anche una selezione di riviste da tutto il mondo e una piccola galleria d’arte.

Cosa fare

Musée Picasso Paris
Quasi 300 dipinti di ogni periodo della carriera del maestro, oltre a sculture e opere su carta, esposti in una sontuosa dimora del XVII secolo.
Suisen
Shiatsu e altri trattamenti benessere in un ambiente progettato per assomigliare a un tradizionale ryokan giapponese.

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