Gorée tra spirito e memoria

Gorée tra spirito e memoria

Al largo di Dakar, l’isola senegalese è un piccolo paradiso dominato dal blu del mare e del cielo. Ma il suo passato invita alla riflessione.
Una colorata viuzza dell’isola di Gorée
Una colorata viuzza dell’isola di Gorée

“Quest’isola non è un’isola ma un continente dello spirito”. Così scrisse di Gorée, al largo di Dakar, il poeta canadese Jean-Louis Roy, diplomatico e membro della Fondation Gorée creata dalla Repubblica del Senegal nel 1989 per tenere viva la memoria di quanto avvenuto in questi luoghi. Oggi percorrendo le sue stradine assolate, delimitate dai muri colorati delle case ricoperti di fiori, può capitare d’incontrare una signora intenta a preparare una profumata confettura di mango o di bissap, la bevanda nazionale a base di fiori d’ibisco.

La piazza ombreggiata a tratti da grandi alberi di baobab, il fatiscente edificio dell’ex Palazzo del Governatore affacciato sul mare e le spiagge dalle acque limpidissime che invitano a fare il bagno insieme ai ragazzi del luogo, restituiscono l’immagine di un luogo autenticamente africano, lontano anni luce dalle località patinate del turismo internazionale ma abbastanza placido e accogliente da far vagheggiare l’idea di farne il proprio buen retiro, per lo meno per qualche giorno o settimana l’anno.

Il porticciolo con la petite plage. Foto di Federico De Cesare Viola

Ma se si volge lo sguardo all’indietro, i circa 36 ettari di terra in mezzo all’Oceano Atlantico, protetti dall’ansa della penisola di Capo Verde su cui sorge la capitale senegalese, raccontano ben altre storie. Insediamento portoghese creato nel 1444, si dice che dal 1536 al 1848 questo fosse uno dei più grandi centri della tratta degli schiavi della costa africana, dichiarata Patrimonio dell’Umanità Unesco nel 1978 proprio come luogo di memoria e di riflessione su una delle pagine più nere della storia mondiale, a monito della “coscienza universale”.

Ripercorrendo le orme di visitatori illustri come Nelson Mandela – che venne qui poco dopo la liberazione dalla sua lunga prigionia dovuta all’apartheid sudafricano, e a cui è dedicata la piazza principale –, Barack Obama e papa Giovanni Paolo II, vale la pena soffermarsi con la dovuta calma sulla tappa alla Maison des Esclaves, ospitata in una villa coloniale del Settecento dalle pareti esterne tinte in un vivace rosso pompeiano illuminato dal sole africano. Le sinuose scalinate conducono dal cortile al piano superiore, dove oggi ci sono le sale del museo che racconta date, luoghi e protagonisti dell’infame commercio.

La porta del viaggio di non ritorno
La porta del viaggio di non ritorno. Foto di Federico De Cesare Viola

Al piano terra, invece, ci sono quelle che furono le anguste celle degli schiavi, e la cosiddetta “porta del viaggio di non ritorno”: un’apertura che guarda al blu del mare che, in questo caso, non era simbolo di libertà ma di prigionia, segnando l’imbarco per il lungo viaggio che avrebbe portato le persone catturate in tutta l’Africa occidentale verso le Americhe e un destino fatto di angherie. In realtà, non è certo che questa fosse una delle “case degli schiavi” che furono attive sull’isola, né che davvero Gorée sia stato un centro così importante dal punto di vista dei numeri di partenze, ma ciò non rende meno toccante il racconto della tratta.

E se è in progetto la costruzione di un’avveniristica struttura lungo la costa di Dakar per il Memorial de Gorée, per ricordarne il passato basta oggi percorrere le sue viuzze incorniciate da rigogliose piante di bouganvillea in fiore fino alla Statua dell’Emancipazione, o della Liberazione dalla schiavitù. Eretta nel 2007 a poca distanza dall’ex fortino che ospita il Museo Storico del Senegal e dalla cosiddetta spiaggia degli innamorati, rappresenta – in maniera forse un po’ melensa e semplicistica – un uomo e una donna su di un tamburo tribale, con le catene spezzate.

La Statua dell’Emancipazione. Foto di Luciana Squadrilli

Ma, al di là delle doverose e imprescindibili riflessioni, quella a Gorée può anche essere una piacevole gita all’insegna del relax, prendendo ad esempio i sonnacchiosi gatti affacciati sul muretto che guarda alla petite plage. L’isola si raggiunge da Dakar con una breve navigazione in battello, o a bordo di uno dei moderni motoscafi privati che partono dall’elegante resort Hotel Terrou-Bi. Senza ricercare lusso a cinque stelle e comfort all’avanguardia, il soggiorno a Gorée può essere piacevolissimo se si abbracciano i ritmi lenti isolani e si è pronti a lasciarsi cullare dal fascino un po’ fané delle strutture e dalla calorosa ospitalità senegalese.

Dispone di sette camere spaziose e arredate in modo semplice ma curato, di cui cinque affacciano sul mare, e di una piscina nel cortile interno La Principauté: fu la residenza ottocentesca del principe Sadruddin Aga Khan situata tra le due spiagge dell’isola, ed è facilmente identificabile dalla facciata di un giallo attenuato dal sole. E se la colazione è principesca, qui il lusso più grande è la quiete ideale per leggere o per concedersi riposini pomeridiani.

Altrettanto graziosa è La Maison du Marin, ospitata in un edificio in stile coloniale dalla facciata rosso acceso a pochi passi dalla Maison des Esclaves che fu in passato prima un fienile, e poi alloggio degli ufficiali della marina francese: qui tutte le camere dispongono di balcone o terrazzo, e molte affacciano sul delizioso patio pieno di piante, dove ci sono i tavoli per la prima colazione e la cena o degli accoglienti divanetti dove sorseggiare un drink. Su prenotazione, è possibile anche partecipare a tour guidati dell’isola (anche via mare, in canoa) o a lezioni di cucina o djembé.

Per provare la tradizione gastronomica, l’indirizzo storico è Chez Tonton: dal 1949, questo semplice chioschetto accanto ai giardini pubblici serve piatti di cucina francese e specialità senegalesi come il Tiébou dieun (piatto nazionale che consiste in un piccante e speziato stufato di riso, pesce, patate e verdure), le polpette di pesce, il mafè (spezzatino o polpette con riso) e i deliziosi beignets all’acqua di fiori d’arancio. Ma per un pranzo informale all’aperto, con i tavolini che guardano alla Statua dell’Emancipazione, c’è anche la Buvette de La Liberté, che nel menu alterna pollo Yassa, pesce alla griglia e gustose crêpe dolci: mangiarle qui, dà un gusto nuovo al concetto di libertà

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