Il volo per le Hawaii da New York dura undici lunghe ore diurne, durante le quali i miei figli (sette e dieci anni) hanno litigato quasi in continuazione: per dove sedersi, per gli spuntini, le coperte, le cuffie; per chi aveva toccato per primo il piede di chi attraverso il bracciolo. Ci sono stati momenti in cui io e mio marito Dave abbiamo iniziato a chiederci se un dio crudele ci avesse condannato a vivere il resto dei nostri giorni su quell’Airbus A330, sibilando «Ridaglielo subito» e controllando per la milionesima volta il tempo di volo rimanente sugli schermi degli schienali.
Meno di 48 ore dopo essere atterrati alle Hawaii eravamo alle prese con un viaggio molto diverso, e questa volta l’atmosfera era un po’ più collaborativa. Ci trovavamo tutti e quattro nella baia di fronte al Mauna Lani, un resort sull’accidentata Kohala Coast dell’isola di Hawaii. Il jet lag ci aveva svegliati molto prima dell’alba, così ci eravamo uniti a una remata mattutina su una canoa a bilanciere guidata da Josiah Kalima-Padillio, un dipendente del resort. «È molto importante che remiamo tutti insieme», ha gridato di spalle mentre uscivamo dalla baia verso il mare aperto. «Dentro insieme, fuori insieme». Dal mio posto in fondo alla canoa ho alzato gli occhi e ho visto Stella, la più grande, e suo fratello Leo che remavano con foga, sforzandosi di tenere il tempo. Ci siamo fermati proprio mentre il sole sorgeva sul Mauna Kea, un vulcano inattivo situato a circa 50 chilometri nell’entroterra che, con i suoi 4.207 metri, è la vetta più alta delle Hawaii.

Mentre la nostra canoa ondeggiava sull’acqua, Kalima-Padillio ci ha spiegato che il rituale di osservare il sorgere del sole risale al tempo dei polinesiani che colonizzarono queste isole più di mille anni fa. Questo luogo, circondato dalle cinque montagne più sacre per gli hawaiani, è considerato il migliore per farlo. «Nell’antichità si credeva che qui si fosse più vicini agli antenati e al mondo degli spiriti», ha detto Kalima-Padillio. «Era un modo per dimostrare unità e affiatamento ed eliminare la negatività». Mentre eravamo seduti a riprendere fiato – chi l’avrebbe mai detto che remare fosse così faticoso? – Kalima-Padillio ha gridato indicando l’orizzonte. A circa 200 metri da noi, due megattere facevano evoluzioni tra gli spruzzi, come se fossero euforiche quanto noi per il sole nascente. Pochi minuti dopo, a due passi dalla nostra canoa ne è apparsa una terza, con l’enorme dorso curvo che scivolava nell’acqua come lo scafo rovesciato di una nave, nero e lucido.
Quando siamo tornati a riva per fare colazione eravamo in estasi, esausti e pronti a trascorrere il resto della mattinata in piscina. Rientrati in camera per metterci il costume, Stella ha preso dal comodino una matita dell’hotel – sopra c’era la scritta “remiamo tutti insieme”. Durante una vacanza al mare, non sempre è facile trovare il modo di immergersi nella cultura locale – tanto più se si viaggia con i bambini. Al Mauna Lani hanno risolto questo problema, poiché oltre alle attività programmate come l’uscita in canoa all’alba, il resort ospita il Kalāhuipua‘a Historical Park, una riserva di quasi 20 ettari che gli ospiti possono visitare a piedi senza dover prenotare biglietti o prendere un taxi; in pratica, si può passeggiare in costume da bagno e pantaloncini, come abbiamo fatto noi quel pomeriggio.

A farci da guida era Ethan Souza, carismatico membro dello staff del Mauna Lani, il quale ci ha spiegato che Kalāhuipua‘a è il luogo in cui il primo sovrano delle Hawaii, Kamehameha il Grande, che aveva unificato l’arcipelago, teneva i vivai di pesci per nutrire la sua corte reale. Sette degli antichi laghetti sono oggi preservati in quest’oasi ombreggiata da palme, che ospita anche sentieri, petroglifi e i resti di un antico villaggio di pescatori. Souza ci ha illustrato il sofisticato sistema di acquacoltura dei primi isolani e ci ha indicato le anguille, i barracuda e i pesci palla – che emozione! – che vivono oggi in queste acque. Il Mauna Lani possiede inoltre una graziosa Hale ‘I‘ike (“casa della conoscenza”) nell’atrio principale, dove i bambini possono prendere lezioni di ukulele e apprendere le tecniche indigene di osservazione delle stelle. Ci siamo iscritti a un corso per imparare a intrecciare il lei, anche se, a essere sincera, nutrivo dei dubbi sull’entusiasmo di Leo nel creare una collana di fiori. Con nostra grande sorpresa, si è seduto al lungo tavolo di legno presieduto da Kahokii Hurley, membro del team dedicato alla cultura locale del Mauna Lani, e nel tempo che tutti noi abbiamo impiegato per fare i nodi iniziali, ha composto un perfetto lei di orchidee.
L’Hale ‘I‘ike è stata rinnovata nel 2020, quando il Mauna Lani ha riaperto dopo una ristrutturazione da 200 milioni di dollari, entrando a far parte dell’Auberge Resorts Collection. Costruita nel 1983, la struttura era diventata nel corso dei decenni un apprezzato punto di riferimento dell’isola. I cultori della versione originale possono stare tranquilli: pur includendo un negozio Goop (il marchio di benessere e moda di Gwyneth Paltrow), un food truck di tacos e un deli alla newyorkese che serve matcha latte, nell’edificio principale a forma di cuneo e nell’imponente atrio pieno di palme il resort conserva una piacevole atmosfera di grandiosità anni Ottanta. Un’altra cosa che Auberge – saggiamente – non ha cambiato è la Canoe House. Quello che una volta era un capanno utilizzato per riporre le canoe (incluse quelle usate dal campione di baseball Babe Ruth, che negli anni Trenta andava in vacanza su queste spiagge) ospita dalla fine degli anni Ottanta il ristorante di ispirazione giapponese del Mauna Lani. Qui gli abitanti dell’isola vengono a festeggiare i compleanni e le occasioni speciali, e la prima sera trascorsa al resort abbiamo capito subito perché. C’era un che di magico nel guardare il Pacifico mentre il sole infiammava il cielo, mangiando curry giapponese di gamberi di Kauai con riso fritto all’aglio, un piatto di cui parliamo ancora spesso.

Mentre portava via i piatti, la cameriera ci ha chiesto: «È la prima volta che venite alle Hawaii?». «Sì», ha risposto Leo con nonchalance. «Probabilmente avremmo dovuto farlo un paio di anni fa». Quasi tutti i viaggi alle Hawaii iniziano a Honolulu e, se si trascorrono una o due notti in città, in un certo senso è d’obbligo soggiornare al Royal Hawaiian. Probabilmente ne avete visto le foto: è il palazzo rosa Art Déco affacciato su Waikiki Beach, che ha ospitato Elvis, Marilyn e i Beatles – praticamente la definizione stessa di hotel iconico. Per me e Dave era valsa la pena fare quel volo da incubo da New York – anzi, ce ne siamo persino dimenticati – non appena siamo entrati nel suo giardino rigoglioso, abbiamo indossato i nostri accappatoi rosa abbinati e abbiamo mandato i bambini a divertirsi in piscina mentre noi bevevamo Mai Tai in bicchieri di plastica. E non avevamo ancora visto Waikiki Beach. Per i nostri occhi stanchi dell’inverno era quasi troppo: l’acqua immobile di un azzurro lattiginoso, la sabbia di un bianco accecante, i grattacieli che scintillavano in lontananza lungo la costa e il profilo del Diamond Head che si stagliava su tutto, un picco vulcanico così rigoglioso che quasi mi aspettavo di vederlo prendere vita e iniziare a cantare, come nel film Disney Oceania.
A dire il vero, avremmo potuto tranquillamente starcene seduti a guardare il panorama per i due giorni che abbiamo trascorso a Honolulu. Ma abbiamo sentito il dovere di vedere Pearl Harbor, un’esperienza commovente e memorabile proprio come ci avevano detto, nonostante fossimo in pieno jet lag quando abbiamo visitato il sito la mattina dopo. Tornati al Royal Hawaiian, siamo andatati al centro commerciale adiacente per mangiare poke e granita. Nel tardo pomeriggio il cortese staff della reception ci ha aiutato a organizzare lezioni di surf per Stella e Leo. Sdraiata immobile su un lettino mentre loro davano sfogo alla loro energia agonistica sulle onde, ho fatto un lungo e lento respiro. Adesso sì che eravamo in vacanza.
Le Hawaii sono isole vulcaniche e i miei figli, soprattutto Leo, sono grandi appassionati di vulcani (un paio di anni prima li avevamo portati in viaggio a Pompei). L’isola di Hawaii possiede ben quattro crateri attivi su una superficie di circa 10mila chilometri quadrati. L’attività eruttiva si concentra prevalentemente nell’Hawai‘i Volcanoes National Park, nella zona meridionale: qui si trovano infatti il Mauna Loa e il Kīlauea, due dei vulcani più attivi al mondo. Era evidente che dovevamo andarci. I visitatori dell’isola di Hawaii si dividono in due categorie: quelli interessati ai resort eleganti sulla spiaggia e quelli che hanno come obiettivo principale il parco nazionale. Molti viaggiatori che soggiornano sulla costa fanno un tour in elicottero dei vulcani e la cosa finisce lì. Per certi versi è comprensibile: non ci sono molte strutture ricettive nei dintorni del parco, il viaggio in auto dura un paio d’ore e le strade sono tortuose.

Ma la visita è stata davvero fantastica. Abbiamo alloggiato al Volcano Rainforest Retreat, un gruppo di cottage di legno in stile giapponese immersi in una selva di bambù e felci a circa cinque chilometri dal parco. Il contrasto con il Mauna Lani non poteva essere più netto. I bambini hanno dormito sui futon sul pavimento. Ha piovuto per circa la metà del tempo che abbiamo trascorso in quella zona dell’isola, quindi abbiamo dovuto approfittare delle pause tra un acquazzone e l’altro per usare la vasca da bagno in legno di cedro in giardino. Per cena abbiamo mangiato thailandese da Aunty Pon’s, un food truck che stazionava in un parcheggio vicino. Sarà stata l’euforia che si prova quando si trova da mangiare qualcosa di buono in un posto sconosciuto, ma giuro che il curry verde e il pad thai avrebbero potuto reggere il confronto con i migliori chioschi di Bangkok.
Il mattino dopo siamo entrati nel parco con due grandi bottiglie d’acqua, due sandwich al burro d’arachidi e marmellata per i bambini e senza un vero e proprio programma. Abbiamo deciso di iniziare esplorando il tunnel di lava di Nāhuku. Quando siamo arrivati, ci siamo resi conto che Leo si aspettava un tunnel di vera e propria lava; scoprire che fosse creato da roccia fusa che si era raffreddata e solidificata secoli fa è stata un’amara delusione, anche quando abbiamo saputo che durante un’eruzione le temperature superano i mille gradi centigradi. Dovevamo riaccendere l’entusiasmo. Di fronte al parcheggio di Nāhuku abbiamo visto il cartello di un percorso circolare che ci avrebbe portato ad attraversare il Kīlauea Iki, un cratere a pozzo accanto alla caldera principale del Kīlauea. Circa cinque chilometri. Potevamo fare quello? «No», ha risposto Leo. «È troppo lontano». «E dai, Leo, sarà un’esperienza cool», ha detto Stella. Dave e io ci siamo guardati. Chi era questa ragazza adulta che parlava così? Da ovunque fosse spuntata all’improvviso, ci piaceva molto.

«Forza Leo», ho detto. «Andiamo». E ci siamo andati: sei chilometri in tutto che, per un bambino di sette anni dal comportamento inaffidabile, era un risultato praticamente inaudito. A dire il vero, le distrazioni non sono mancate. I crateri a pozzo sono essenzialmente dei giganteschi buchi nel terreno, quindi abbiamo iniziato a scendere lungo la parete interna, dove tutto era verde e lussureggiante, con gigantesche felci arboree preistoriche che si arricciavano sopra le nostre teste. Dopo circa mezz’ora abbiamo raggiunto il fondo del vulcano.
Dave si è messo a leggere sul telefono: nel 1959 il Kīlauea Iki eruttò per più di un mese, lanciando in aria getti di lava per oltre 500 metri – uno degli eventi vulcanici più spettacolari del XX secolo. Quando si è raffreddata, la lava ha formato uno strato di basalto piatto, che si estendeva davanti a noi per 2,5 chilometri. Gli altri escursionisti che ci precedevano nella traversata sembravano piccoli insetti, minuscoli rispetto alle pareti del cratere che si ergevano su ogni lato. Abbiamo continuato a camminare, un po’ intimiditi, superando qua e là enormi crepe nel terreno e punti in cui la roccia si era piegata e gonfiata per il calore del magma che ancora ribolliva sotto la superficie. Ma dopo aver attraversato il cratere ed essere risaliti sulla parete opposta, seguendo il bordo fino a Nāhuku, abbiamo provato una sensazione incredibile: eravamo accaldati, stanchi e affamati, ma accomunati dall’emozione di aver compiuto un’impresa incredibile tutti insieme. Proprio un’esperienza cool.

Dopo l’avventura nel parco, ci sembrava giusto concludere il nostro viaggio di nuovo sulla spiaggia. La mattina dopo siamo scesi in macchina verso la Kona Coast per trascorrere le ultime notti al Kona Village. Vengo dall’Inghilterra, quindi non avevo mai sentito parlare di questo posto prima che venisse riaperto nel 2023 dal Rosewood Hotels Group, ma tutte le persone con cui ho parlato negli Stati Uniti sembravano conoscerlo da anni. Ho scoperto ben presto che la struttura è una leggenda del turismo hawaiano. La sua storia ebbe inizio nel 1965, quando un manager petrolifero texano, Johnno Jackson, e sua moglie Helen erano in navigazione nel Sud Pacifico sulla loro goletta, la New Moon. Dopo aver attraccato a Ka‘upulehu, antico insediamento polinesiano abbandonato negli anni Trenta, i Jackson si innamorarono del posto, affittarono 32 ettari di roccia lavica con vista sull’oceano e dedicarono gli anni successivi a costruire un resort. Mancava l’accesso alla strada, per cui Jackson costruì una pista d’atterraggio. Non c’erano telefoni, orologi o televisori; gli ospiti dormivano in hale (case tradizionali) con tetto di paglia e persiane di legno che accoglievano la brezza.
Il Kona Village divenne la quintessenza del barefoot luxury, e nei tre decenni successivi richiamò una sfilza di ospiti celebri, da Jim Morrison negli anni Settanta a Steve Jobs nei primi anni Ottanta. Nel 2011 il resort è stato distrutto dallo tsunami che ha colpito l’Asia. I suoi affezionati clienti hanno dovuto aspettare la riapertura per dodici lunghi anni. Ma senza dubbio chi sceglie di tornare al Kona Village non rimarrà deluso. Oggi gli hale hanno ancora il tetto di paglia, ma sono dotati di aria condizionata; alcuni offrono anche il servizio di maggiordomo. La New Moon, affondata nella Kahuwai Bay negli anni Sessanta, è stata recuperata e trasformata in un incantevole beach bar. Nel campo di lava di Ka‘upulehu è stata costruita una spa dove si può fare un massaggio osservando le pendici del Mauna Kea.

Ecco la versione 2.0 del concetto di barefoot luxury: rilassato e informale, ma con tutti i comfort possibili. Il fulcro del resort è la splendida spiaggia a mezzaluna di Kahuwai Bay, di cui avevamo sentito parlare come di un posto perfetto per far fare snorkeling ai bambini. Una mattina ho chiesto a Brent Imonen, responsabile del centro acquatico, di prepararci l’attrezzatura e siamo entrati in acqua. Sotto la superficie, l’acqua era di un blu intenso. Dopo appena un minuto abbiamo visto a pochi metri da noi una tartaruga verde che ci ha guardato sdegnosamente con i suoi grandi occhi neri prima di scendere in picchiata sul fondale, le pinne tese come ali, per addentare qualche alga. Intorno alla testuggine nuotavano una miriade di pesci di ogni forma, colore e dimensione che sembravano usciti da Alla ricerca di Nemo: idoli moreschi, pesci chirurgo gialli, battaglioni di aguglie e pesci balestra squadrati il cui nome hawaiiano sembra uno scioglilingua (humuhumunukunukuapua‘a). «Wow», ho detto a Imonen un’ora dopo riconsegnando maschere e boccagli. Lui mi ha sorriso e ci ha spiegato che il divieto di pesca e raccolta introdotto in quella zona circa otto anni fa stava dando i suoi frutti. «Le condizioni laggiù sono tra le migliori dell’isola».
Tornati a terra, eravamo curiosi di saperne di più sulla storia di Ka‘upulehu. Così il giorno seguente, dopo una colazione che includeva un lilikoi kouign-amann (dolce ripieno di crema al frutto della passione) davvero memorabile – il Kona Village ha un pasticcere straordinario – siamo andati a vedere i petroglifi scolpiti nel campo di lava situato sotto il resort. Leggendo un opuscolo, abbiamo scoperto che questa lastra di basalto si formò circa tremila anni fa ed è abitata da quasi un millennio. Nel corso dei secoli gli abitanti di Ka‘upulehu hanno scolpito nella roccia circa 450 immagini, che si possono ammirare in gran parte da una passerella; poco lontano c’è anche un nuovo centro culturale che fornisce informazioni sul loro significato. Leo ha indicato due piccole figure incise nella roccia: «Guarda, sono fratello e sorella». «Sembra Leo che sta cercando di colpirmi sugli stinchi con un tubo galleggiante», ha detto Stella. Ci siamo tutti fermati a guardare questi antichi fratelli, i loro litigi resi insignificanti dai secoli. «Pensi che fratelli e sorelle andassero d’accordo nelle Hawaii dell’antichità?», le ho chiesto.

«Probabilmente no», mi ha risposto sospirando. Ben presto è arrivata la nostra ultima mattina al Kona Village e il nostro ultimo giorno alle Hawaii. Avevamo un paio d’ore a disposizione, così abbiamo chiesto a Imonen di portarci intorno al promontorio con una canoa a bilanciere. Sembravano trascorse settimane dalla nostra prima uscita in canoa al Mauna Lani, tante erano le cose successe da allora. Abbiamo costeggiato le scogliere orlate di palme di Ka‘upulehu, superando una o due piccole insenature di sabbia nera. Ogni due minuti Imonen dava il comando “Hut-Hooo” per indicare che era ora di cambiare braccio. Poi abbiamo sentito un richiamo diverso. «Guardate là! A ore 11». Un banco di un centinaio di stenelle era diretto verso di noi, le pinne argentee appena visibili sulla cresta delle onde. Poi ci hanno circondato, fendendo l’acqua quasi in silenzio – solo un tursiope visibile qua e là. Sono passati a una velocità incredibile: nel giro di un minuto o poco più erano quasi scomparsi. Imonen ha girato la canoa: era ora di tornare indietro. E stavolta non ha dovuto dirci come fare: lo sapevamo già. Abbiamo preso le pagaie e abbiamo remato verso la riva, tutti insieme.
AVVENTURE HAWAIANE
OAHU
HONOLULU
The Royal Hawaiian
Questo hotel rosa in stile Art Déco – un classico di Waikiki Beach, parte della Luxury Collection del Marriott – offre giardini lussureggianti, panorami da cartolina e una posizione insuperabile.
Pearl Harbor National Memorial
Se andate a Honolulu, questo monumento della Seconda guerra mondiale, ora parco nazionale, è una tappa obbligata. Il sito è vasto (ci si sposta in autobus a orari fissi) e molto affollato, quindi prevedete di dedicare diverse ore alla visita.
ISOLA DI HAWAII
KONA-KOHALA COAST
Kona Village, a Rosewood Resort
Distrutta da uno tsunami nel 2011, questa iconica struttura ha riaperto nel 2023. La nuova versione da 150 camere è ovviamente più lussuosa, ma traspare ancora lo spirito autentico originale.
Mauna Lani, Auberge Resorts Collection
Entrato a far parte dell’Auberge Resorts Collection nel 2020, questa rinomata struttura sulla Kohala Coast dispone di oltre 300 camere e suite eleganti e tre piscine, oltre a una miriade di servizi e attività per le famiglie.
WAIMEA
The Fish & the Hog
Se siete diretti all’Hawai‘i Volcanoes National Park, fate in modo di fermarvi a pranzo in questo locale specializzato in barbecue frequentato solo dai locali. Il sandwich al pulled pork è stato una delle cose più buone che ho mangiato alle Hawaii.
VOLCANO
Volcano Rainforest Retreat Bed & Breakfast
Un gruppo di cottage in stile giapponese dotati di angolo cottura e bagni onsen all’aperto nel villaggio di Volcano, a 10 minuti di auto dall’ingresso del parco.
Aunty Pon’s Thai Food Truck
Autentica cucina thailandese servita in porzioni molto generose da un furgone nel parcheggio del Cooper Center di Volcano.
HILO
The Booch Bar Hilo
Localino informale in Keawe Street che serve una cucina davvero deliziosa incentrata su prodotti vegetali.
Hawai‘i Tropical Botanical Garden
Questo splendido giardino disposto intorno alle scogliere e alle cascate della Hamakua Coast merita la deviazione di 45 minuti dal parco dei Volcanoes.
Sig Zane
Le camicie hawaiane di alta qualità di questa elegante boutique di Hilo sono ambiti souvenir.