Dugi Otok: rotta lenta verso l’azzurro

Dugi Otok: rotta lenta verso l’azzurro

Tra fondali cristallini, silenzi profumati di resina e villaggi sospesi, un viaggio nella Croazia più selvaggia.
Tra il verde della fitta vegetazione, a Dugi Otok, si aprono scogliere sul mare.

Quarantacinque chilometri. Tutto qui. Uno stretto filo di terra che taglia l’Adriatico da ovest, come una linea disegnata a matita tra il blu del mare e il verde degli alberi. Dugi Otok – che in croato significa proprio “isola lunga” – è più di un nome: è un’indicazione di ritmo. Qui il tempo si dilata, o meglio, si allunga. A soli 50 minuti di traghetto da Zadar (Zara), appare quasi timida sulla carta geografica, ma in poco spazio – misura tra 1 e 4 chilometri di larghezza – racchiude una ricchezza discreta e sorprendente. Fu l’imperatore bizantino Costantino Porfirogenito, nel suo De administrando imperio del X secolo, a menzionarla per la prima volta con il nome di Pizuh.

Nel secolo successivo la si trova indicata come Insula Tilagus. Solo nel XV secolo compare ufficialmente come Dugi Otok. Eppure, nonostante il passare degli anni e le mappe, resta ancora oggi poco battuta dal turismo di massa e mantiene intatta la sua inclinazione: quella di un rifugio per chi è in cerca di pace e luoghi selvaggi. Non ha grandi città ma solo piccoli paesi e il mare che la circonda come un compagno silenzioso, sempre presente da qualunque parte si guardi ma mai uguale a sé stesso.

Uno scorcio sull’azzurro dal villaggio di Bozava

A seconda dell’ora, delle nuvole o del vento, cambia colore – dal turchese al cobalto –, consistenza, trasparenza. Tra tutte le spiagge, Sakarun è forse la più conosciuta, ma non ha ancora perso la sua anima. Una mezzaluna di sabbia bianca, protetta da una pineta e circondata dal silenzio, con un fondale basso ricco di prati di Posidonia oceanica. A poca distanza si ammirano il paesaggio di Veli Rat e la spiaggia di ciottoli lisci. Qui sorge il faro più alto dell’Adriatico, una torre di pietra di ben 42 metri dalla caratteristica colorazione miele. Si racconta che la tonalità sia dovuta all’uso di centomila tuorli d’uovo. Non si può salire, ma basta camminargli attorno, lasciandosi abbracciare dalla luce del tardo pomeriggio, per coglierne la solennità.

Il mare si insinua tra le rocce, come a cercare qualcosa, pure nel Parco naturale di Telašćica, a Sud-Est, un mosaico di acque, falesie, insenature e profumi e area protetta dal 1988 (l’entrata dalla terraferma è Dolac). Nel mezzo si trova uno dei luoghi più sorprendenti: il lago di Mir, il cui nome significa “pace” e mai parola fu più precisa. È uno specchio d’acqua salato, tra i più rari in Europa, formatosi durante l’ultima glaciazione e separato dal mare. Lo alimentano piccoli canali sotterranei invisibili agli occhi.

Un pescatore dell’isola impegnato a sistemare le reti

Le sue acque balneabili sono calde (nella stagione estiva la temperatura raggiunge 33ºC, mentre in inverno scende drasticamente fino a 5°C). Il fondale è fangoso, e molti si cospargono con il limo scuro per sfruttarne le proprietà benefiche e avere una pelle morbida. Ma è l’esperienza in sé – lenta, sospesa – a lasciare il segno. Entrarvi è come vivere una parentesi fuori dal tempo. Si galleggia senza sforzo quasi fosse il Mar Morto, si resta immobili con lo sguardo rivolto al cielo, circondati solo dalla natura e dai riflessi della luce. Da qui, con una passeggiata di una quarantina di minuti, lungo un sentiero ad anello che costeggia il lago e respirando i profumi della macchia mediterranea, si raggiunge Škrača, uno spazio che sembra uscito da un rituale arcaico.

Anno dopo anno i visitatori hanno costruito piccole sculture con le pietre, Kamene. Torri, cerchi, equilibri precari. Non c’è un significato preciso in questo assemblaggio spontaneo che si fonde con l’ambiente. Un dialogo tra mani e materia. Nella parte occidentale del parco il paesaggio si impenna. Le Stene, imponenti falesie costiere, si alzano per oltre 160 metri sopra il livello del mare, e sprofondano verticalmente per altri 80. Il vento le lambisce, gli uccelli le sorvolano, le ombre si allungano. Secondo una leggenda, tra le fessure vivrebbero i peteročići, piccoli esseri invisibili, dispettosi ma mai cattivi.

Nessuno li ha mai visti davvero, ma tutti credono alla loro esistenza. Siamo vicini al villaggio di Sali, il più grande e anche il centro amministrativo dell’isola, dove vivono 1.500 persone distribuite in 12 villaggi. Qui le giornate cominciano presto e finiscono tardi, ma mai di corsa. Le case sono in pietra, le reti da pesca stese ad asciugare, le barche ancorate nel porto sembrano galleggiare senza fretta. I pescatori sono ancora il cuore pulsante della comunità. Come Goran, oggi oste e contastorie, che arrostisce pesce fresco davanti al suo ristorante Izletište Kršovica, proprio sul mare e con i tavoli di legno all’aperto. E non si può non assaggiare un bicchiere di maraschino, un rosolio fatto con i frutti e le foglie dell’amarena marasca, tipica dalmata.

Il parco cittadino della regina Jelena Madijevka

Da queste parti, l’ospitalità ha il sapore semplice delle cose fatte in casa. E tutto sembra dettato dalle stagioni, i gesti, le abitudini, perfino le feste. La prima settimana di agosto si svolge il rituale collettivo Le usanze di Sali, che da più di cinquant’anni anima il paese e per tre giorni mescola cucina, tradizioni, gare popolari, musica (quest’anno dall’8 al 10 agosto). Vi è persino una gara degli asini, con tanto di premiazione per quello più veloce, ma anche per quello più pigro. Quasi un monito e un invito al saper rallentare. Tra gli altri villaggi, spicca Božava a nord, affacciato su un porticciolo silenzioso dove le barche sembrano dormire sull’acqua. Le case hanno colori tenui, qualche murale scolorito spunta tra le pareti e l’atmosfera è rilassata. Non c’è molto, ed è proprio questo il bello. È il luogo ideale per sostare, magari per qualche notte.

L’hotel Maxim, l’unico quattro stelle affacciato direttamente sul mare, offre camere essenziali ma luminose. Più intime e raccolte le soluzioni degli appartamenti di Gorgonia e di Villa Parisa, gestiti da famiglie che vivono sull’isola tutto l’anno. C’è anche un sentiero per una camminata nella pineta.

Quando, poi, si lascia Dugi Otok, qualcosa della sua natura selvaggia sembra restare attaccato addosso. Forse per questo, una volta sbarcati e avvicinandosi a Zara, vale la pena fermarsi ancora un momento prima di tornare davvero alla città. Appena oltre la costa, nella piana tra Pirovac e Pakoštane, si apre un altro spazio di silenzio: il lago di Vrana, il più grande della Croazia (esclusi i bacini artificiali), dichiarato Parco Naturale dal 1999. È questo l’habitat per numerosi uccelli, dall’airone rosso al falco di palude, dalla sgarza ciuffetto agli slanciati trampolieri.

Infine, non si può non vivere un po’ Zara. Una città che non si limita a essere l’approdo: è parte stessa del viaggio. Fondata dai Liburni, poi colonia romana con il nome di Iadera, è passata attraverso epoche, stili, ferite e rinascite. Eppure, nonostante le stratificazioni, mantiene intatta un’eleganza senza ostentazione, fatta di pietra bianca, vicoli, campanili. Si passeggia su strade acciottolate, lungo Calle Larga (Siroka Ulica), la via principale, con il profumo della lavanda nei mercatini e lo sguardo che si apre all’azzurro del mare.

Il faro di Veli Rat, una torre di pietra di ben 42 metri dalla caratteristica colorazione miele

Il simbolo della città è la chiesa di San Donato, costruita nel IX secolo su una base circolare che poggia sulle rovine del foro romano e dall’acustica perfetta. Proprio davanti si apre il vecchio Foro, dove si tenevano le assemblee pubbliche, con i resti dei templi ancora visibili. Poco più in là, la Colonna della Vergogna, a cui nel Medioevo venivano legati i malfattori. E poi ci si può perdere negli angoli del centro: da piazza del Popolo, cuore della vita cittadina a quella dedicata a Petar Zoranić, palcoscenico di eventi e concerti, fino alla scenografica piazza dei Cinque Pozzi, dove una torre pentagonale si appoggia alle mura medievali del XIII secolo dichiarate Patrimonio Unesco.

Dietro si trova il parco della regina Jelena Madijevka, costruito nel 1829: un angolo verde perfetto per rilassarsi e per un “caffè lento”, come lo chiamano qui, da gustare senza fretta. E proprio la lentezza conduce a uno dei luoghi più emozionanti cittadini, sul lungomare. Le acque sembrano parlare davvero, attraverso l’Organo marino: capolavoro dell’architetto croato Nikola Bašićha che trasforma il movimento delle onde in una melodia naturale, grazie a 35 canne di diversa lunghezza, diametro e inclinazione nascoste sotto i gradoni della riva. A pochi metri, il Saluto al Sole – un’altra installazione dello stesso progettista – raccoglie l’energia del giorno per restituirla in un gioco di luci notturne.

Sul lungomare di Zara, dove risuona la melodia dell’Organo marino di Nikola Bašićha

Ma ad attrarre più di tutto sono le sfumature di arancio e viola che accendono il cielo nel tardo pomeriggio. Uno spettacolo che incantò persino il regista Alfred Hitchcock, tanto da definire, nel 1964, i tramonti di Zara “tra i più belli del mondo”. E forse lo sono ancora. Perché in fondo, come certe isole, anche alcuni tramonti non finiscono. Si allungano nel cuore.

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