Salina, tra mare, sapori e storie di chi ha scelto di restare

Salina, tra mare, sapori e storie di chi ha scelto di restare

Come l’isola più verde delle Eolie sa incantare chi la visita e trattenere chi se ne innamora.
Museo del sale a Salina ph. Andrea Martina Di Lena

«A Salina si viene per amore o per espatriare». Le parole della collega Barbara Vergnano, scomparsa di recente, si sono rivelate profetiche fin dal mio primo giorno sull’isola. Giornalista milanese, da trentacinque anni conduceva una vita da pendolare tra il capoluogo lombardo, Roma e Salina; quest’ultimo era il suo buen retiro, come lo definiva lei stessa, dove aveva anche conosciuto il marito. L’ho incontrata appena sbarcata dall’aliscafo, varcando la soglia di Madeinsalina, associazione culturale di cui era vicepresidente e direttore artistico, situata proprio di fronte al pontile di Santa Marina. In questo atelier eoliano tutto sprigiona creatività: dagli acquerelli di Giovanni Russo, con dediche ai luoghi iconici dell’isola – Pollara, la chiesa di Malfa, il faro, il laghetto di Lingua (un ex bacino di produzione del sale) – alle croci dorate incastonate con pietre preziose, viste anche sulle passerelle di Dolce & Gabbana.

Artigianato eoliano in esposizione da Madeinsalina, negozio al porto di Santa Marina ph. Andrea Martina Di Lena

Alle pareti si trovano quadri dipinti su tavole di legno recuperate in spiaggia, gli intrecci dell’ultimo cestaio di Salina, Marino Mandile, e bijoux realizzati con vegetazione autoctona, essiccata e immersa in bagno d’argento: meravigliosi, ad esempio, gli orecchini con pale di fico d’India. Sulle piante medicinali del posto ha condotto diversi studi il farmacista Sergio Giani, scomparso pochi anni fa e amico della famiglia Caruso, proprietaria di uno dei luoghi di ospitalità più emblematici dell’isola: il Signum. Un hotel che, oggi, è una destinazione a sé. Proprio dal libro scritto da Giani sono ispirati i nomi delle stanze di questo albergo diffuso che, quando aprì nel 1989, fece da apripista per questo modello di hôtellerie, in Sicilia e in Italia.

La mia stanza era la numero 34, “Assenzio”, e profumava di bergamotto, grazie a un diffusore homemade della Signum Spa. «Bellissima, una delle mie preferite – confida Luca Caruso, direttore dell’hotel e figlio dei fondatori Clara e Michele – con quel balconcino che da un lato guarda la piscina privata e dall’altro Stromboli e Panarea». Luca qui è nato e cresciuto. «L’ufficio dove lavoro era la mia cameretta. Io e mia sorella Martina (la bravissima chef del ristorante stellato e del bistrot, ndr) da piccoli abbiamo persino condiviso una stanza che oggi accoglie i nostri ospiti».

La piscina dell’Hotel Signum

Tra tutte, una delle camere più significative resta la numero 18, quella in cui dormì Massimo Troisi durante le riprese del film Il Postino (la vocazione cinematografica dell’isola si conferma più che mai attuale anche grazie a SalinaDocFest, manifestazione estiva a cadenza annuale). Mi ha colpito scoprire che la famosa spiaggia di Pollara dove sono state girate alcune scene della romantica commedia, oggi nota come “la spiaggia del Postino”, non esista più: è stata letteralmente inghiottita dalle acque del Tirreno.

Il modo migliore per ammirare questo lato di isola è via mare, magari a bordo del Nikita, gozzo Aprea di Antonello Taranto ed Elena Basurto di Blu Salina, società turistica che organizza diverse escursioni salpando dal piccolo porticciolo dei pescatori di Malfa che, tra non molto, dovrebbe essere ufficialmente riattivato per yatch e natanti. «Quello è lo zio di Antonello, rientra dopo una giornata di pesca», indica Elena in un tardo pomeriggio di giugno.

Lei sull’isola ormai conosce tutti. Originaria di Monterotondo, ha girato il mondo grazie al lavoro del padre (anche per questo parla quattro lingue) e, proprio nella cittadina alle porte di Roma, ha conosciuto il compagno circa dieci anni fa, seguendolo fin qui e lasciando il lavoro da guida turistica. La sua passione per la storia dell’arte e l’archeologia, materie in cui è laureata, le ha portate con sé. «La ricchezza di storia che c’è qui è impressionante. Ad esempio, troviamo tutta la fase greca che a Roma manca, e continuo a scoprire cose da studiare. Il prodotto isole Eolie non viene tanto pubblicizzato per l’aspetto culturale, qui si viene per il mare o il vino».

Il mare dalla spiaggia di Malfa

Non immaginatevi distese di spiagge ma spazi perlopiù acciottolati e selvaggi dove distendere il telo. Chi frequenta Scario potrà affittare dei materassi per rendere più confortevole la permanenza sulle rocce, trattenendosi fino al tramonto per l’aperitivo che si ordina take-away da Maracaibo, chioschetto che presidia l’insenatura. Fiore all’occhiello dell’isola è la produzione di Malvasia delle Lipari, commercializzata da tredici cantine: da Tasca d’Almerita, che nonostante abbia ceduto il resort Capofaro continua a gestire i vigneti delle Eolie, a Caravaglio, passando per Virgona, per citarne alcuni. Proprio da quest’ultima realtà sono stati supportati Natascia Santandrea e Luca Caruso (sì, sempre il direttore del Signum), quando hanno avviato la loro azienda vitivinicola nel 2020: Eolia.

La coppia si è conosciuta a Orvieto in occasione di un congresso di JRE-Jeunes Restaurateurs d’Europe; ai tempi, lei gestiva ancora La Tenda Rossa con la sua famiglia, rinomato due stelle Michelin vicino Firenze (oggi chiuso), e lui era lì in rappresentanza del Signum. «Abbiamo cominciato acquistando una serie di parcelle già vitate sull’isola. Il caso ha voluto che incontrassimo Aldo Galletta: è stato il nostro primo conferitore di uva». Davide, il nipote ventenne del signor Galletta, conduce con sicurezza il fuoristrada del 1971 di Natascia durante il wine tour tra i comuni di Malfa e Leni, che si conclude con una degustazione panoramica tra le vigne di Malvasia nella zona dell’eliporto. «Il prossimo anno queste uve andranno nell’etichetta Bianco M, in cui la lettera “M” sta per Malfa» (l’altra loro etichetta di Malvasia è V, indicazione geografica per Valdichiesa).

Brindisi in una delle vigne di Eolia ph. Andrea Martina Di Lena

Un tempo erano tutti terrazzamenti costruiti secondo le regole della preola, una tecnica agricola tipica delle isole Eolie, in particolare di Salina, che deriva dal dialetto locale indicando un piccolo muretto a secco costruito con pietre laviche. Osservando intorno, mi tornano in mente le parole della guida Elena: «Basta guardare come la montagna è striata fino in cima. Qui si lavorava in condizioni eroiche e questo racconta la priorità di sfruttare ogni centimetro disponibile di questa terra (non a caso è considerata la più verde dell’arcipelago, ndr).

C’è stato un momento, dal secondo decennio dell’Ottocento fino all’arrivo della fillossera, in cui l’isola venne disboscata e organizzata in terrazzamenti. Da un censimento del 1880 sappiamo che Salina superava gli 8mila abitanti con una flotta pazzesca di velieri che trasportava il vino dappertutto». Testimonianze raccolte anche dal Museo Eoliano dell’Emigrazione, dove Elena dà il suo contributo nelle ricerche genealogiche, aiutando i discendenti interessati a trovare notizie sui loro antenati.

Una terra di partenze, sì, ma ancora di più di ritorni. Come dimostra la storia di Alfredo, figura simbolica di Salina: occhi blu come le pareti del suo locale, diventato meta imprescindibile per chi cerca la granita perfetta nella frazione di Lingua, a Santa Marina. «Ho vissuto in Australia, dove c’è una grande comunità di eoliani, in modo simile a Boston. Questo posto l’ho costruito io, mio padre è morto giovanissimo. Ho perso il conto del tempo, saranno almeno cinquant’anni che sto qui. Il pane cunzato? Lo abbiamo inventato noi, e oggi lo fanno in tutto il mondo». Questo tipico disco di pane tostato è servito con diverse farciture: la ricetta della casa è condita con pomodorini, crema di ricotta fresca, zucchine grigliate, gamberi, rucola, scaglie di grana e olio alla menta.

Fagottino di polpo, ‘nduja, patate, limone e olive nere nel menu “Sigillo” del Signum

Confesso che ho un debole per la granita (e i dolci, in generale). Così, non posso non menzionare quella del Signum, tra gli immancabili della colazione. L’ho assaggiata sia al caffè sia alla mandorla – e ho detto a Graziana, che è in sala da vent’anni, che dovrebbero rendere la panna obbligatoria: è semplicemente divina. Martina Caruso mi ha però conquistata con il suo gelato al cappero: nato come dolce, è diventato un pre-dessert per permettere a tutti i commensali di assaggiarlo. Una scelta anche simbolica, perché il cappero non è solo un ingrediente, ma un emblema dell’isola.

I Caruso, tra l’altro, hanno un cappereto alle pendici del Monte dei Porri. Al Signum, ogni parte della pianta viene valorizzata: dall’estratto usato come olio per un rigenerante massaggio nella spa, alle foglie essiccate che decorano i drink ideati da Raffaele Caruso. Tra i cocktail più richiesti? Il Capparis Margarita. Sorseggiarlo mentre si guarda Stromboli eruttare in lontananza resta un’esperienza difficile da dimenticare.

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