Tutti la chiamano la “città rossa” ma la sua non è una palette monocromatica: Marrakech, come mi spiega Mustafa, la mia guida che con un sonoro Yalla mi invita a iniziare il tour della città, è un’esplosione di colori vivaci che includono tonalità naturali che sfumano dal verde della menta fresca al giallo dello zafferano passando per il nero del kajal, tonalità che si mescolano armoniosamente, come gli ingredienti di una ricetta.
La conferma è immediata. Addentrandomi tra le sale del Dar El Bacha, un tempo residenza di Thami El Glaoui — Pasha di Marrakech — trasformata nel 2017 nel Musée des Confluences Dar el Bacha, ciò che cattura subito la mia attenzione è la ricchezza decorativa. Un mix di influenze culturali che hanno contribuito a plasmare l’identità del Paese prende forma attraverso soffitti in legno di cedro intagliato in stile ispano-moresco e portici con colonne rivestite da piastrelle zellige, i cui toni sono proprio quelli tipici del Marocco.

Passeggiando nel cortile, circondata da alberi di arancio, percorro una sorta di passerella a scacchiera, dipinta di bianco e nero, che mi guida verso un imponente portone in legno, custode di un mondo nascosto e incantato.
Sopraffatta dalla curiosità, spingo timidamente la porta d’ingresso, quanto basta per scorgere gli interni del Dar El Bacha Coffee, un locale sontuosamente arredato tra palme e complementi d’arredo dai vivaci colori. Il menu è ricchissimo: ci sono più di 200 tipi di caffè 100% arabica, ognuno con una specifica corposità e provenienza, servito dai camerieri nelle caffettiere dorate a collo di cigno e versato, in maniera scenografica, in eleganti tazze di porcellana. Un vero rituale che invita a ritagliarsi un momento di pace e di gusto perché non mancano le proposte dolciarie tra croissant dalle varie farciture e brioche con Amlou.
Passeggiando per la Medina
Mi rimetto in marcia nella Medina, addentrandomi in un dedalo di vie labirintiche affollate da motorini che fanno lo slalom tra i pedoni e da asini carichi di merci, una realtà in cui la tradizione sembra prevalere sulla modernità. Mi imbatto nei lustrascarpe che, con grande dedizione, fanno brillare le calzature degli avventori mentre le donne dalle loro case portano il pane ai forni dove viene cotto e venduto diffondendo nell’aria una scia invitante. Appurata la mia passione per i profumi, Moustafa mi guida in direzione del Musée du Parfum, allestito all’interno di un riad del XIX secolo, restaurato nel 2006 dall’etnobotanico Abderrazzak Benchaâbane. «I riad dall’esterno presentano una porta semplice, quasi anonima ma spesso, una volta varcato l’ingresso, svelano una ricchezza straordinaria», spiega.
Dopo aver esplorato il piano superiore dedicato all’arte profumiera e alle proprietà cosmetiche di ingredienti come l’olio di argan, la mirra e l’oud, scendo nel cortile dove si trova l’accesso al bar à parfums: qui, partendo da un soliflore, è possibile divertirsi a mescolare le diverse note per creare una fragranza personalizzata a propria immagine e somiglianza. Shopping profumato anche all’Herboristerie le 35 épices dove trovare prodotti come l’olio argan: «Se unge vuol dire che non è autentico», raccontano in negozio. Oppure l’olio di fico d’India che agisce sulla pelle come un botox naturale. La peculiarità? «Sono necessari 20 giorni di lavoro e 1.000 kg di semini per ottenerne un litro».
La Mamounia, il tempio dell’ospitalità marocchina
Camminare per la città emoziona ma stanca. Terminata la giornata, il mio locus amoenus è lì che mi aspetta dietro a un maestoso cancello a cui si accede dopo aver effettuato i dovuti controlli di sicurezza: «Benvenuta a La Mamounia», pronunciano due uomini vestiti con un vellutato mantello rosso che, al mio arrivo, mi riservano un’accoglienza regale. Aperte le porte, si svela un mondo di grande impatto visivo e olfattivo: un’esperienza che cattura i sensi e li coccola. La sua fama lo procede: La Mamounia è un vero e proprio tempio dell’ospitalità marocchina che, inaugurato nel 1923, nel corso degli anni è stato sottoposto a diversi interventi di ammodernamento. Soprattutto in occasione del suo centenario (2023), gli architetti/designer Patrick Jouin e Sanjit Manku hanno curato il restyling degli interni, pur sempre preservando il suo heritage, conferendogli una nuova vibrante energia.

A rapire l’attenzione è indubbiamente il monumentale lampadario che troneggia nella hall: un intreccio di cordoni in passamaneria rossi, decorati con oltre cinquecento pendenti in argento e alpacca, è esaltato da scintillanti perle in vetro soffiato a mano nelle vetrerie ceche di Lasvit il cui design rimanda ai tradizionali gioielli berberi.
Un giro per il mondo in tavola
La stimolazione sensoriale prosegue con l’inebriante profumo di dattero creato dalla famosa Maison Fragonard che si trasforma in un ricordo olfattivo che accompagnerà per tutto il soggiorno e oltre (è acquistabile nella boutique interna). Anche l’offerta gastronomica attinge a molteplici fonti di ispirazione. Il viaggio in giro per il mondo inizia dai sapori tipici del sud-est asiatico con L’Asiatique par Jean-Georges dove, tra le novità, un menu degustazione in cinque atti ispirato al Kabuki, una delle arti performative più rappresentative del Giappone, e comprende una danza di sapori tra nigiri, tempura di melanzane, orata al vapore e manzo al pepe. Si torna in patria con l’Italien par Jean-Georges, concepito dal duo Jouin e Manku come una trattoria di lusso, completa di forno a legna, in cui gli ambienti interni si fondono armoniosamente con la natura circostante che diventa protagonista anche degli affreschi vegetali che adornano le pareti.

A incantare le mie papille gustative, ma non solo perché l’occhio vuole sempre la sua parte (e anche l’udito in questo caso), è Le Marocain. Ospitato all’interno di un riad dallo stile architettonico arabo-andaluso, il ristorante offre un’atmosfera intima e conviviale al tempo stesso, con le sue accoglienti alcove e gli spettacoli di musica dal vivo. Cosa ordinare? L’esperienza gastronomica si basa sulla condivisione: tra le proposte dello chef Rachid Agouray a incuriosirmi è stata la tajine con le verdure dell’orto, sesamo e salsa verde. All’interno del giardino della proprietà, popolato da roseti, aranceti, cactus e bouganville, un’area di 1.500 metri quadri è dedicata proprio alla coltivazione di vegetali e spezie (coriandolo, menta, basilico, origano, verbena e citronella), una preziosa risorsa a cui gli chef attingono per arricchire i propri piatti.
Dalle spezie dell’orto alla sala giochi

A fare da cornice a questo polmone verde sono una pluralità di spazi dedicati ad attività ludiche, quali il campo da bocce e quello da tennis e una palestra all’avanguardia dove anche i più pigri sono stimolati ad allenarsi grazie alla vista sul verde che si scorge dalla vetrata panoramica. Chi viaggia in famiglia o con gli amici, può programmare una serata di svago nella sala giochi il cui arredo, con tanto di jukebox e flipper, riporta alla mente i tipici diner americani.
Non manca davvero nulla. C’è anche la sala cinema da venti posti dove, oltre ai pop corn firmati Pierre Hermé, è possibile ordinare del vino o una coppa di Champagne. E ancora l’Œnothèque, uno spazio esperienziale esclusivo in cui è possibile organizzare degustazioni ed eventi privati in un contesto di grande intimità. L’occhio si posa prima di tutto sul lampadario di corda intrecciata — un pezzo originale di artigianato berbero realizzato dallo studio parigino Jouin Manku combinando fibre naturali con materiali all’avanguardia —, per poi scrutare le eleganti vetrine illuminate. Al loro interno si contano circa 2mila bottiglie di annate rare selezionate dai sommelier de La Mamounia tra cui Icône, un’etichetta prodotta in Marocco e arricchita da disegni di artisti locali.
Hammam tra benessere fisico e spirituale
Impossibile resistere al richiamo dell’hammam, un rituale che unisce tradizione, benessere e spiritualità. Entrati in spa, tra archi sinuosi, soffitti a volta, pareti lisce in tadelakt e intricate piastrelle zellige, ci si lascia andare a un viaggio sensoriale. «L’hammam è un rito catartico che infonde un senso di armonia e di amore profondo. Prima di dedicarsi alla preghiera, le famiglie marocchine — una volta a settimana — si concedono questo percorso di purificazione, sia fisica che spirituale», spiega Marie Casual, spa manager de La Mamounia.
Tra l’applicazione del sapone nero al neroli ed eucalipto, lo scrub esfoliante con il guanto kessa e l’impacco stimolante al ghassoul, si vive un momento di intimità unico, spesso arricchito da massaggi rilassanti.«A La Mamounia abbiamo creato un protocollo dal grande valore esperienziale che favorisce la connessione con il luogo e le persone. Ti sentirai pulito e rinnovato, con la pelle che brilla riflettendo il cambiamento», rivela l’esperta. Da provare anche i trattamenti facciali che sfruttano le proprietà cosmetiche dei rinomati brand Valmont, Augustinus Bader e marocMaroc.

Impossibile non riconoscerlo: chi è un assiduo frequentatore dei social, non può prescindere dal farsi una foto — o registrare un video — in una delle location più instagrammabili dell’hotel, cercando di catturare l’essenza del luogo. Dal Wall of Fame, dove sono esposte le foto e le dediche degli ospiti più illustri, si apre una porta che conduce in un angolo magico, il Black & White patio circondato da colonne bianche e nere adornate da piastrelle zellige che, per le occasioni speciali, si trasforma in un raffinato scenario per i Dîner Éphémère, cene esclusive, proprio come l’esperienza che si vive in ogni suo ambiente.